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domenica, 22 Giugno,2025

Il bullismo razzista nelle scuole primarie: come riconoscerlo

Il bullismo razzista nelle scuole: segnali da non ignorare

Il bullismo razzista nelle scuole è una realtà che inizia ben prima di quanto si pensi. Già nella scuola primaria, si manifestano forme di esclusione, insulti e soprusi silenziosi che lasciano segni profondi nei bambini che li subiscono.

Bullismo razzista scuola: tre parole che non dovrebbero mai stare insieme, eppure descrivono una realtà diffusa e spesso ignorata. Perché quando si pensa al razzismo, si guarda agli adulti. E quando si pensa al bullismo, si immaginano ragazzi delle superiori. Ma la verità è che tutto inizia molto prima, e spesso proprio tra i banchi delle elementari.

Nei corridoi delle scuole primarie, tra astucci colorati e disegni appesi al muro, si consumano scene che passano inosservate. Un bambino lasciato fuori dal gruppo. Una bambina che non riceve inviti alle feste. Insulti sussurrati a voce bassa, così da non essere sentiti dagli insegnanti. Piccoli gesti quotidiani, ma con effetti devastanti.


C’è un bambino con la pelle scura che ogni giorno si siede in fondo alla classe. Nessuno vuole fare coppia con lui per i compiti di gruppo. Quando c’è da scegliere i compagni per una gita, resta sempre tra gli ultimi. Gli altri lo chiamano “cioccolatino”, “scimmia”, o peggio. Ridono. Lui abbassa gli occhi. Gli adulti sentono, ma sminuiscono: “Sono solo bambini”.

Sbagliato.

Sono proprio quei bambini che, lasciati soli in quel momento, imparano due cose:

  1. Che chi è diverso può essere escluso.
  2. Che nessuno interverrà per difenderlo.

Il bullismo razzista a scuola assume spesso forme sottili. Non sempre è fisico o violento. A volte è fatto di silenzi, esclusioni, soprannomi “ironici”, battute che fanno ridere tutti tranne chi le subisce. È fatto di frasi come “ma tu da dove vieni davvero?” o “non sembri italiano”. Frasi che negano identità, appartenenza, dignità.

Altre volte è più diretto: una spinta, uno zaino gettato per terra, una gomma lanciata in faccia. E quando l’insegnante arriva, è troppo tardi. O peggio: non succede nulla. Perché spesso la vittima non denuncia. Per paura, per vergogna. Perché pensa che non cambierà nulla.


È importante capire che il bullismo razzista non è un fatto isolato. È un prodotto culturale. Nasce da ciò che i bambini sentono a casa, in TV, sui social. Se un bambino cresce in un ambiente in cui si parla con disprezzo dei migranti, dei rom, dei musulmani, degli africani… userà quel disprezzo come arma anche a scuola.

Il razzismo non è innato. Si apprende. E si manifesta presto.


Molti insegnanti non sono formati per riconoscerlo. Non sanno distinguere una battuta da una microaggressione. Non sanno leggere l’esclusione sistematica come un segnale d’allarme. E spesso, anche volendo intervenire, non sanno come farlo.

Le scuole primarie italiane, nella maggior parte dei casi, non hanno protocolli specifici per il bullismo razzista. Esistono progetti contro il bullismo in generale, certo, ma raramente affrontano la componente razziale. Eppure è proprio lì che si annida la ferita più profonda.


Bambini originari di altri Paesi, nati e cresciuti in Italia, vengono trattati come stranieri. Bambini rom vengono evitati a prescindere. Bambini musulmani si vedono derisi durante il Ramadan o quando rifiutano il prosciutto. E tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti.

Spesso sono le famiglie delle vittime a denunciare. Ma troppo spesso vengono accusate di esagerare. “È solo una fase, poi passerà.” Ma le parole feriscono. Le espressioni feriscono. L’esclusione ferisce. E lascia cicatrici.


Come si riconosce il bullismo razzista a scuola primaria?

  • Quando un bambino viene escluso sistematicamente dai giochi o dalle attività comuni
  • Quando subisce insulti legati al colore della pelle, alla religione, all’origine etnica
  • Quando viene preso di mira con soprannomi offensivi e nessuno interviene
  • Quando il rendimento scolastico cala improvvisamente senza apparente motivo
  • Quando mostra paura o rifiuto di andare a scuola, ma non sa spiegare perché
  • Quando ha comportamenti aggressivi o ritirati, come risposta alla pressione sociale

Cosa possono fare le scuole?

  1. Formare gli insegnanti sul riconoscimento delle discriminazioni razziali
  2. Integrare moduli antirazzisti nei programmi scolastici già dalla prima elementare
  3. Creare un ambiente in cui la diversità sia una risorsa, non una colpa
  4. Ascoltare le famiglie e agire subito alle prime segnalazioni
  5. Lavorare sulle classi, coinvolgendo i bambini in attività inclusive

Il bullismo razzista non si combatte solo punendo i colpevoli. Si previene creando una cultura diversa, in cui ogni bambino si senta parte di qualcosa, non escluso per ciò che è.

Ogni volta che ignoriamo un insulto, ogni volta che minimizziamo, stiamo dicendo ai bambini:
“Quello che sta succedendo va bene così.”

E invece non va bene.
Nessun bambino dovrebbe imparare la vergogna prima dell’alfabeto.
Nessun bambino dovrebbe credere di essere inferiore solo per com’è nato.

È tempo di guardare in faccia la realtà, anche se fa male.
È tempo di cambiare, partendo dalle scuole.


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