Il razzismo bambini è una realtà che resta spesso invisibile.
Colpisce i più piccoli in modi silenziosi ma devastanti, lasciando cicatrici profonde e ignorate. Ci sono bambini che non sanno ancora leggere, ma sanno già cosa vuol dire essere esclusi. Bambini che imparano prima il significato di “negro” usato come insulto, piuttosto che le tabelline. Che si vedono negare un invito a una festa di compleanno, solo perché “la mamma dice che non si fida”.
Ci sono cortili dove i giochi finiscono troppo presto, perché qualcuno ha detto: “Tu non puoi giocare con noi, non sei italiano”. E maestre che sorridono, minimizzano, catalogano tutto come “litigi tra bambini”.
E invece no. È razzismo. E colpisce i più piccoli. In silenzio. Con la forza devastante dell’indifferenza degli adulti.
L’Italia è piena di queste storie, ma nessuno le racconta.
In molte scuole italiane, ci sono bambini di origine straniera che vengono trattati in modo diverso già dal primo giorno di scuola. Non perché parlino male l’italiano. Non perché abbiano comportamenti difficili. Ma perché sono “quelli lì”. Quelli che vanno aiutati a prescindere. Quelli che “non si integreranno mai”, secondo certe famiglie. Quelli che “portano problemi”, secondo certe insegnanti.
C’è razzismo nei voti dati con leggerezza più bassa, nei sospiri quando un bambino nero entra in classe e chiede aiuto. C’è razzismo nei compiti di gruppo dove non viene mai scelto. Nelle recite scolastiche dove a lui non viene mai dato un ruolo centrale.
Questo non è un caso. È un sistema.
Molti di questi bambini crescono interiorizzando la vergogna. Pensano sia colpa loro. Pensano di non valere quanto gli altri. Non lo dicono, ma lo vivono. Lo disegnano nei temi. Lo portano nello sguardo. Eppure continuano ad amare questo Paese che li rifiuta a intermittenza.
Alcuni vengono fermati dai vigili, anche a 12 anni, perché “non sembrano italiani”. Altri vengono seguiti nei supermercati. Altri ancora si vedono rifiutare l’ingresso nei centri sportivi perché i documenti “non sono a posto”. Ma nessuno parla di questi episodi, se non quando sfociano in cronaca nera.
Un ragazzino di 9 anni è stato bullizzato in un parco pubblico a Verona perché aveva la pelle scura. Gli hanno sputato addosso e gli hanno detto: “Vai a casa tua, scimmia”. La madre ha denunciato. Nessun giornale nazionale ha ripreso la notizia.
Una bambina rom di 7 anni è stata schernita durante una gita scolastica. Un genitore l’ha allontanata dal gruppo dicendo: “Non la voglio vicino a mia figlia”. Nessuno ha reagito. Nessuno.
Queste non sono eccezioni, sono parte di una realtà che non vogliamo vedere. E più i bambini sono piccoli, più sono esposti. Più subiscono senza nemmeno avere gli strumenti per difendersi.
Chi dovrebbe proteggerli? Le scuole? Le famiglie? Lo Stato? Tutti e nessuno, a quanto pare. Perché la discriminazione infantile non fa notizia, eppure lascia segni profondissimi.
Ogni volta che un bambino subisce razzismo e nessuno fa nulla, stiamo dicendo al mondo che è accettabile. Ogni volta che una scuola non denuncia, ogni volta che un adulto gira la faccia dall’altra parte, alimentiamo una cultura dell’esclusione.
È il momento di dire basta.
È il momento di ascoltare queste storie.
È il momento di agire per cambiare davvero le cose.
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