Violenza istituzionale sui minori stranieri non accompagnati: una realtà ignorata
Minori stranieri non accompagnati. Una definizione fredda, burocratica, che non dice nulla delle persone che descrive. Dietro quella sigla – MSNA – ci sono ragazzi e ragazze, spesso bambini, che hanno attraversato deserti, mari, confini, guerre. Arrivano in Italia da soli. Senza un genitore. Senza nessuno. Con addosso solo un nome, una lingua, una speranza.
Lo Stato dovrebbe essere il primo a proteggerli. Ma troppo spesso è proprio lo Stato a ferirli.
La violenza istituzionale non è fatta di schiaffi, ma di omissioni.
Di attese infinite. Di porte chiuse. Di documenti che non arrivano mai. Di accoglienza negata, di centri sovraffollati e inadeguati, di minori trattati come adulti, interrogati senza mediazione culturale, schedati, spostati da un luogo all’altro senza spiegazioni. Come se non fossero persone. Come se non fossero bambini.
Molti minori stranieri non accompagnati vengono accolti in strutture temporanee d’emergenza, le cosiddette CAS. Sono centri pensati per brevi periodi, che diventano case per mesi, a volte anni. Spesso sono lontani da scuole, ospedali, trasporti. Spesso non c’è personale formato. Spesso mancano interpreti, psicologi, educatori.
Ma il punto è un altro: manca la volontà politica. Manca un piano nazionale efficace. Manca una cultura dell’accoglienza vera.
Quando un minore arriva in Italia e dice di avere 17 anni, deve dimostrarlo. Senza documenti, le autorità avviano una “verifica dell’età”. Dovrebbe essere una procedura delicata, multidisciplinare. Invece, spesso si traduce in una visita medica brutale, in cui si misura l’osso del polso o si osserva la dentatura. Metodi inaffidabili, denunciati da pediatri e ONG. Ma usati per dire: “Hai più di 18 anni, vai nei centri per adulti.”
E così un ragazzo di 16 anni può finire in un centro con uomini di 30, senza protezione, senza scuola, senza tutele.
È questa violenza istituzionale.
A volte i minori vengono trattenuti nei CPR – i Centri di Permanenza per il Rimpatrio. Sono strutture pensate per espellere gli stranieri. Ma lì dentro finiscono anche ragazzi che non hanno commesso reati. Solo per una data sbagliata. Solo perché “non ci sono alternative”.
Vivono chiusi, sorvegliati, con pochi diritti. Nessun giudice ha deciso il loro “arresto”. Eppure stanno lì. In attesa di nulla.
Alcuni scappano. Spariscono dai radar. Non perché “non vogliono rispettare le regole”. Ma perché hanno paura. Perché hanno già vissuto troppo. Perché preferiscono la strada a un sistema che li rifiuta. Diventano “irreperibili”, un’altra parola che cancella. Ma loro esistono. Dormono in stazione, nei parchi, nei sottopassi. E lì rischiano tutto: sfruttamento, abuso, traffico.
Lo Stato li ha persi. Come si perdono dei pacchi. Ma loro non sono pacchi.
I minori stranieri non accompagnati sono persone. Sono ragazzi. Sono esseri umani.
E l’Italia li sta tradendo.
Ogni volta che un minore non riceve un tutore legale nei tempi previsti.
Ogni volta che viene lasciato solo in aula con una lingua che non capisce.
Ogni volta che viene considerato un problema da spostare.
Ogni volta che viene classificato come “potenzialmente pericoloso”.
Ogni volta che non si fa nulla.
È violenza istituzionale.
Eppure basterebbe poco:
– Una formazione obbligatoria per tutti gli operatori
– L’obbligo di affido in strutture specializzate
– Il riconoscimento automatico della vulnerabilità
– Il sostegno psicologico garantito
– Il coinvolgimento delle scuole, delle associazioni, dei comuni
– L’ascolto
Sì, perché questi ragazzi parlano. Alcuni urlano. Altri sussurrano. Ma nessuno ascolta davvero.
Non si tratta di “buonismo”. Si tratta di diritti. Di umanità. Di Costituzione.
Di non voltarsi dall’altra parte.
Un Paese che tratta così dei minori è un Paese che ha perso se stesso.