Per un ora d amore recensione: un thriller che parla di amore, violenza e realtà
Non so se sia stato il titolo a colpirmi per primo, o il fatto che negli ultimi mesi non si fa che parlare di donne uccise da chi diceva di amarle. Ma quando ho visto “Per un’ora d’amore” di Piergiorgio Pulixi in libreria, ho capito che non era uno di quei romanzi da lasciar lì. Avevo bisogno di leggerlo. E adesso, dopo averlo finito, ho bisogno di parlarne.
Perché non è solo un thriller. È un pugno. È uno specchio. È una domanda scomoda che ti resta addosso.
Lo dico subito: Per un’ora d’amore è un libro che scava. Ti costringe a stare nei pensieri più sporchi di una società che spesso preferisce voltarsi dall’altra parte. E, forse per questo, è così potente.
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Non è facile recensire un libro del genere senza spoilerare troppo. La storia è ambientata a Milano, ma potrebbe essere ovunque. Inizia con il ritrovamento del cadavere di una giovane donna, bellissima, con un dettaglio inquietante: sul petto, inciso con una lama, c’è un cuore. Una firma. Un messaggio. O una maledizione?
Entra in scena la squadra di investigatori della sezione crimini violenti: un gruppo variegato, ma mai stereotipato. Pulixi è bravissimo a costruire personaggi credibili, con sfumature, dolori, difese e nevrosi. A poco a poco, altri casi emergono, simili, spaventosi. Tutti legati da un filo rosso: uomini incapaci di accettare il rifiuto, l’abbandono, la libertà dell’altra.
Ma quello che mi ha colpito di più non è la trama in sé (che comunque è costruita con maestria), bensì l’atmosfera emotiva. Il modo in cui l’autore riesce a farti sentire addosso il gelo di certe notti, la fatica delle ispettrici, la rabbia silenziosa che monta.
Mi sono fermato più volte durante la lettura. Alcune scene sembrano uscire dal telegiornale, dai post che vediamo ogni giorno su Facebook: “uccisa dall’ex”, “la controllava”, “non accettava la fine della relazione”. Non è finzione. È realtà. È cronaca.
Leggere questo libro mentre in Italia si parla ogni giorno di femminicidio, mi ha fatto pensare. A Giulia, a Sara, a Deborah. A tutte quelle donne che avevano solo una colpa: voler vivere.
E allora “Per un’ora d’amore” non è solo un titolo. È una condanna. È la frase che potrebbe dire chi pensa che amare significhi possedere. È l’ossessione che trasforma la passione in violenza. È la giustificazione marcia di chi uccide “perché l’amava troppo”.
Pulixi non ti fa sconti. Non cerca di edulcorare, non salva nessuno. Ma non giudica neanche in modo banale. I suoi personaggi sono profondi, disturbati, in conflitto. Alcuni li detesti. Altri li capisci. Nessuno è lasciato al caso. La psicologia del male, in questo libro, non è un accessorio: è il motore di tutto.
E la scrittura? Ritmica, asciutta, tesa. Ogni capitolo ti chiama al successivo. Ti costringe ad andare avanti, anche quando vorresti fermarti un attimo per respirare. E quando pensi di aver capito tutto… no, non l’hai capito. Fidati.
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Una delle cose che ho apprezzato di più è che Pulixi non cade mai nel compiacimento morboso. Non c’è pornografia del dolore, non c’è spettacolarizzazione della morte. C’è rispetto. C’è denuncia. C’è la voglia di far luce sulle dinamiche di potere malato che troppo spesso accompagnano la parola “amore”.
E poi c’è Milano. Una città descritta con freddo realismo, lontana dall’immagine patinata che passa nei film. Una città fatta di silenzi, ombre, bar notturni, palazzi chiusi. Un paesaggio urbano che diventa lo sfondo perfetto per una storia che parla di abbandono, ossessione e violenza.
Ma c’è anche la giustizia. La voglia di verità. Di protezione. Di cura. E questo arriva soprattutto attraverso i personaggi femminili: forti, feriti, lucidi. Lontani dai cliché. Donne che, pur avendo conosciuto la paura, non si arrendono. Non accettano che il dolore venga normalizzato. E sono loro, in fondo, il cuore vero del libro.
Durante la lettura mi sono tornate alla mente immagini che avrei voluto dimenticare. I nomi che riempiono i notiziari ogni settimana. Le madri, le sorelle, le figlie. Uccise per gelosia. Per controllo. Per ego. Per una “scintilla”. E l’orrore non è solo nell’atto finale, ma in tutto quello che viene prima: la manipolazione, l’isolamento, la colpevolizzazione. È qui che la cultura fallisce. È qui che dobbiamo intervenire, educare, parlare.
Ecco perché questo libro dovrebbe essere letto da tutti. Non solo da chi ama i thriller, ma da chi vuole capire meglio cosa c’è dietro la parola “femminicidio”. Perché non è solo un crimine. È una conseguenza. Di anni, secoli, di cultura patriarcale. Di silenzi. Di sguardi abbassati.
Pulixi riesce a raccontarlo senza mai predicare. Senza trasformare il romanzo in un manifesto. E forse è proprio per questo che colpisce così tanto.
Il finale non lo rivelo. Sarebbe un peccato togliervi la tensione, l’attesa, lo smarrimento. Posso solo dire che è coerente. E necessario. Che lascia una fitta, sì, ma anche uno spiraglio. E che una volta chiuso il libro… non lo hai davvero chiuso. Te lo porti dietro per giorni. E ogni volta che leggi di una donna scomparsa o uccisa, ti sembra di sentire ancora la voce dell’ultima pagina.
Se volete leggere un libro che vi faccia riflettere, che vi tenga svegli la notte e che vi lasci qualcosa da dire, Per un’ora d’amore è quello giusto.
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Io non so se l’amore può salvare. Ma so che la letteratura, a volte, può farci capire. E scegliere. E prendere posizione.