back to top
20.5 C
Torino
domenica, 22 Giugno,2025

Disabilità e razzismo: la doppia esclusione delle persone nere con disabilità

Disabilità e razzismo: quando l’esclusione si moltiplica

Essere discriminati per la propria disabilità è già, di per sé, un ostacolo sociale, culturale e materiale. Lo è ancora di più quando la disabilità si accompagna a un’altra condizione stigmatizzata: quella dell’essere una persona razzializzata, in particolare una persona nera. In questa doppia marginalità, disabilità e razzismo non si sommano soltanto: si intrecciano, si moltiplicano, si rafforzano. Non sono due strade parallele, ma un solo percorso pieno di ostacoli, dove chi cammina si ritrova a dover lottare contemporaneamente su più fronti.

Il mondo è spesso pensato da persone abili e bianche. Le rappresentazioni, i servizi, le politiche e persino le parole riflettono questa centralità. Di conseguenza, le esperienze delle persone nere con disabilità sono invisibili. Quando si parla di razzismo, raramente si considerano le esigenze di chi ha una disabilità. Quando si parla di disabilità, quasi mai si considera l’impatto del razzismo. Le persone nere disabili sono sempre in bilico, escluse dai racconti, dalle statistiche, dai dibattiti pubblici, e perfino dai movimenti che teoricamente dovrebbero tutelarle.

Il primo ostacolo è proprio questo: l’invisibilità. Nei media italiani, quante volte vediamo rappresentate persone nere con disabilità? Nei film, nelle pubblicità, nei programmi televisivi, le persone disabili sono raramente presenti, e quando lo sono, il loro volto è quasi sempre bianco. L’immaginario collettivo associa la disabilità alla fragilità e la fragilità alla bianchezza. Le persone nere, invece, vengono spesso raccontate come forti, resistenti, instancabili. Questo binarismo culturale – il nero forte, il bianco fragile – cancella l’esistenza delle persone nere con disabilità, rendendole letteralmente impensabili.

Anche nel linguaggio comune si nota questa sovrapposizione di pregiudizi. I termini usati per descrivere la disabilità sono spesso abilisti, ma diventano ancora più violenti quando si riferiscono a una persona nera. Espressioni come “doppio problema”, “sfortunato due volte”, o “non bastava già la pelle scura” sono esempi reali di frasi dette con leggerezza, ma che condensano giudizi profondi e pericolosi. Non si tratta solo di ignoranza: si tratta di una cultura che considera la disabilità una tragedia e la nerezza una penalità. L’accostamento delle due viene vissuto come un’esagerazione, un errore della natura, una condizione estrema quasi inumana.

Nella vita quotidiana, tutto questo si traduce in ostacoli reali e costanti. Per una persona nera con disabilità, ogni interazione sociale può diventare un campo minato. L’accesso ai servizi sociosanitari, già difficile per chiunque abbia una disabilità, diventa ancora più complicato se si ha anche un background migratorio o una pelle che non corrisponde a quella del personale medico. Il pregiudizio razziale può insinuarsi in tanti modi: nei tempi di attesa, nella scarsa empatia, nelle diagnosi superficiali, nell’inadeguatezza della comunicazione. Non sono necessariamente atti di razzismo esplicito, ma atteggiamenti dettati da stereotipi interiorizzati: il corpo nero è “più forte”, “sopporta di più”, “non ha bisogno di tante attenzioni”.

Questi bias possono portare a cure inadeguate, diagnosi errate, sottovalutazione dei sintomi, o persino a veri e propri rifiuti dell’assistenza. E quando si denuncia, si rischia di non essere creduti. Chi vive sulla propria pelle questa doppia discriminazione si trova in una posizione di estrema vulnerabilità, perché deve sempre dimostrare qualcosa: di non esagerare, di non essere “lamentoso”, di meritare ascolto. L’effetto è un senso di isolamento e sfiducia che mina profondamente la salute mentale e la possibilità di partecipare alla vita collettiva.

Anche sul lavoro la discriminazione intersezionale legata a disabilità e razzismo è devastante. Se già le persone disabili incontrano enormi difficoltà a essere assunte, le persone nere con disabilità affrontano ostacoli doppi. Non si tratta solo della barriera architettonica o delle mansioni inadeguate: è la percezione di essere “fuori posto”, “problematici”, “non compatibili” con l’ambiente aziendale a impedire anche solo di accedere a un colloquio. E se ci si arriva, ci si trova spesso di fronte a domande inappropriate, a sguardi giudicanti, a una serie di ostacoli non scritti, ma ben reali.

Il problema si complica ancora di più quando si considera il mondo scolastico. Bambini e ragazzi neri con disabilità si trovano frequentemente vittime di doppie forme di esclusione: vengono trattati come “casi difficili”, inseriti in percorsi separati o non adeguati, seguiti da insegnanti di sostegno che non sempre hanno formazione interculturale, e talvolta esclusi dalle attività collettive. I compagni li isolano, i professori li sottovalutano, e le famiglie vengono coinvolte poco o niente. Non si tratta solo di mancata inclusione scolastica, ma di una negazione sistemica del diritto all’educazione equa e rappresentativa.

Un altro punto critico è il rapporto con la società civile e i movimenti sociali. Le lotte per i diritti delle persone disabili e quelle contro il razzismo procedono spesso su binari separati, ignorando la complessità delle identità intersezionali. Nei cortei, nei dibattiti, nei manifesti, manca quasi sempre la voce delle persone nere disabili. Questo silenzio riflette una visione frammentaria dei diritti umani, in cui ogni gruppo combatte per sé, senza riconoscere l’esistenza e i bisogni dei soggetti che vivono molteplici forme di oppressione contemporaneamente.

Essere neri e disabili in Italia oggi significa non essere pienamente rappresentati da nessuno. Le associazioni antirazziste parlano poco di disabilità, spesso perché la considerano una questione “separata”, o perché faticano a trovare testimonianze visibili. Le associazioni per i diritti delle persone disabili, a loro volta, raramente affrontano il razzismo come questione centrale. In mezzo, le persone nere disabili restano sole, invisibili, senza una rete solida di supporto e rappresentanza.

A peggiorare la situazione c’è anche il sistema dei servizi pubblici. I centri per l’impiego, i servizi sociali, i consultori, gli uffici comunali non sono sempre preparati ad accogliere persone con doppia vulnerabilità. Il linguaggio usato nei moduli, le barriere linguistiche, la burocrazia, la mancanza di mediazione interculturale rendono l’accesso ai diritti estremamente faticoso. In molti casi, chi dovrebbe ricevere supporto si scontra con muri di gomma: richieste ignorate, domande rigettate, assistenza minima.

Ma le barriere non sono solo esterne. C’è anche una dimensione interna, psicologica, emotiva. L’interiorizzazione del razzismo e dell’abilismo porta molte persone nere disabili a credere di valere meno, a rinunciare in partenza a certi diritti, a evitare di esporsi per non sentirsi umiliate. La mancanza di rappresentazione nei media e nella cultura contribuisce a rafforzare questo sentimento di inadeguatezza. Se nessuno ti racconta, se nessuno parla di te, cominci a pensare che non esisti.

Un’altra forma subdola di esclusione è legata alla sessualità, ai sentimenti e alle relazioni affettive. Le persone disabili vengono spesso considerate asessuate, infantili, incapaci di provare o suscitare desiderio. Quando la disabilità è associata a un corpo nero, la situazione si complica ulteriormente. Il corpo nero è ipersessualizzato oppure desessualizzato a seconda dei contesti, mentre il corpo disabile è neutralizzato, deriso o reso invisibile. Chi si trova all’intersezione di queste identità deve affrontare pregiudizi multipli: troppo nero per essere visto come “normale”, troppo disabile per essere considerato attraente, troppo fuori dallo schema per meritare amore.

Eppure, queste persone esistono, vivono, amano, desiderano. E hanno diritto a essere viste per ciò che sono: esseri umani completi, con bisogni, sogni, intelligenze, capacità, esperienze che vanno oltre ogni etichetta. L’unico modo per restituire loro voce e spazio è ascoltare le loro storie, creare occasioni di espressione, evitare di parlare per loro, ma piuttosto con loro.

Ci sono esperienze che dimostrano come il cambiamento sia possibile. Alcuni collettivi nati in paesi anglosassoni – come “Sins Invalid” negli Stati Uniti – lavorano proprio sull’intersezione tra razza, disabilità e genere. In Italia, alcune realtà antirazziste stanno cominciando a includere queste tematiche, ma c’è ancora molta strada da fare. Occorrono più spazi inclusivi, più risorse dedicate, più ascolto. Le scuole devono adottare un’educazione alla diversità intersezionale. I media devono moltiplicare le voci, mostrare corpi diversi, raccontare storie che non siano stereotipi o eccezioni.

Serve un cambio di paradigma culturale. Basta pensare in compartimenti stagni: il razzismo non è solo un problema della pelle, la disabilità non è solo una questione di barriere architettoniche. Le identità sono complesse, fluide, multiple. Una persona può essere nera, disabile, donna, queer, povera, migrante. E tutte queste identità vanno riconosciute e rispettate nel loro intreccio. L’intersezionalità non è solo una teoria: è un’esigenza concreta, un’urgenza politica, una richiesta di giustizia.

Riconoscere questa complessità significa anche mettere in discussione i privilegi. Chi ha un corpo abile, bianco, normativo, ha il dovere di usare il proprio spazio per fare posto, per cedere parola, per creare alleanze. Non si tratta di colpevolizzarsi, ma di essere consapevoli che l’inclusione non nasce da sola: va costruita, giorno dopo giorno, con azioni precise.

La rappresentazione, ad esempio, è un primo passo fondamentale. Vedere una persona nera con disabilità in un film, in una pubblicità, in un ruolo di prestigio, non è solo una questione simbolica: è un messaggio potente, che dice “tu esisti, tu conti, tu puoi farcela”. Ma perché questo avvenga, serve una volontà collettiva. Servono registi, giornalisti, insegnanti, politici, cittadini pronti a cambiare punto di vista.

Anche il linguaggio deve evolversi. Le parole che usiamo per descrivere la disabilità sono spesso medicalizzanti, pietistiche o infantilizzanti. Se a questo si aggiungono parole razziste, anche implicite, il risultato è devastante. Bisogna imparare a usare un linguaggio che sia inclusivo, rispettoso, preciso, che non riduca le persone alla loro condizione, ma che ne valorizzi la complessità. Dire “persona nera con disabilità” invece di “handicappato africano” non è questione di correttezza politica, ma di riconoscimento della dignità e dell’identità.

Le istituzioni hanno un ruolo chiave in questo processo. È urgente che politiche pubbliche e servizi siano ripensati alla luce dell’intersezionalità. I dati devono essere raccolti tenendo conto di più variabili, le leggi devono essere scritte ascoltando chi vive queste doppie oppressioni, i centri di assistenza devono essere accessibili non solo fisicamente, ma anche culturalmente. Le campagne di sensibilizzazione devono includere immagini e messaggi rappresentativi di tutte le esperienze. L’inclusione non è reale finché lascia fuori anche una sola persona.

Le persone nere con disabilità esistono, resistono, creano, vivono. Sono artisti, attiviste, studenti, madri, lavoratori, persone comuni che lottano ogni giorno contro un sistema che troppo spesso le ignora. Le loro storie meritano spazio, rispetto e attenzione. La lotta contro il razzismo e quella per i diritti delle persone disabili non possono più andare avanti separatamente. Serve un fronte unito, consapevole, che sappia guardare ai margini dei margini e riconoscere che lì si gioca la vera partita dell’uguaglianza.

Non si può parlare di antirazzismo senza parlare anche di abilismo. Non si può parlare di accessibilità senza parlare anche di discriminazione razziale. Non si può parlare di diritti umani senza includere ogni corpo, ogni voce, ogni identità. Per costruire una società davvero inclusiva, serve coraggio: il coraggio di guardare dove non si vuole guardare, di ascoltare ciò che ci mette a disagio, di cambiare ciò che ci è comodo. Serve il coraggio di credere che la giustizia è indivisibile, e che nessuno è libero finché non lo sono tutte e tutti.

Articoli correlati

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

social a.r.

1,264FansMi piace
4,280FollowerSegui
- Advertisement -

libri e letteratura