back to top
20.5 C
Torino
domenica, 22 Giugno,2025

Donne musulmane e discriminazione: doppia oppressione, resistenza quotidiana

Donne musulmane e discriminazione: una lotta quotidiana tra razzismo e sessismo

In Europa, nascere donna significa spesso fare i conti con discriminazioni profonde, sistemiche, silenziose. Nascere donna e musulmana, però, significa dover affrontare un ulteriore livello di esclusione: quello di una doppia discriminazione, dove il sessismo si intreccia con il razzismo religioso e culturale. In questa intersezione si trovano ogni giorno migliaia di donne musulmane che vivono, studiano, lavorano, resistono in città come Milano, Marsiglia, Berlino o Rotterdam. Donne che non chiedono di essere “salvate”, ma di essere ascoltate. Di poter scegliere, autodeterminarsi, esistere senza dover giustificare ogni gesto, ogni capo d’abbigliamento, ogni parola detta.

Il corpo della donna musulmana come campo di battaglia ideologico

Il modo in cui una donna si veste, si muove, parla, è da sempre terreno politico. Ma per una donna musulmana, tutto questo assume una valenza esplosiva. Il suo corpo diventa una bandiera ideologica contesa: da una parte l’Occidente laico e progressista che vorrebbe “liberarla” dal velo; dall’altra, le aspettative patriarcali – interne o esterne – che la vorrebbero silenziosa, contenuta, conforme.

Nel mezzo, ci sono loro: donne reali, vive, complesse, che spesso pagano il prezzo più alto. Una donna musulmana che indossa il velo in una metropolitana europea può diventare bersaglio di insulti, sguardi, domande invadenti. Una che sceglie di non indossarlo può essere accusata di “tradire” la propria cultura. In entrambi i casi, è la sua libertà di scelta ad essere messa in discussione.

Sessismo e islamofobia: due forme di oppressione che si sommano

Parlare di discriminazione verso le donne musulmane in Europa significa riconoscere che non si tratta solo di sessismo, e non solo di razzismo. Si tratta di intersezionalità, un concetto chiave nei femminismi contemporanei, che descrive come le diverse forme di oppressione si intersechino tra loro creando esperienze uniche di emarginazione.

Una donna bianca, cristiana, europea può essere discriminata in quanto donna. Una donna nera, musulmana, migrante subisce spesso discriminazioni multiple: per il genere, per la religione, per l’origine. Questo significa affrontare barriere più alte nell’accesso al lavoro, alla casa, alla sanità, all’istruzione. Ma anche maggiore esposizione alla violenza verbale e fisica nello spazio pubblico.

Il velo: simbolo di fede o bersaglio pubblico?

In nessun altro simbolo si concentra tanta tensione politica e culturale quanto nel velo islamico. In particolare l’hijab – il foulard che copre i capelli – è diventato, in Europa, un oggetto di ossessione. Lo si guarda con diffidenza, lo si vieta nelle scuole, lo si discute nei talk show, lo si associa automaticamente alla sottomissione.

Eppure, per moltissime donne musulmane, indossare il velo è una scelta consapevole, spirituale, identitaria. Non è un’imposizione, ma un atto di autodeterminazione. Impedirlo, vietarlo, ridicolizzarlo significa negare quella stessa libertà che l’Europa dice di voler difendere.

In paesi come la Francia, il Belgio e persino in alcune regioni italiane, sono state introdotte leggi e regolamenti che limitano l’uso del velo nei luoghi pubblici. Ma queste norme colpiscono esclusivamente le donne musulmane, creando una discriminazione di fatto che alimenta isolamento, disoccupazione e stigmatizzazione.

Donne musulmane e lavoro: invisibilità e discriminazioni sistemiche

Nel mondo del lavoro, le donne musulmane sono tra le categorie più penalizzate. Secondo dati raccolti da enti indipendenti in Francia e Regno Unito, una donna con nome arabo e foto con hijab ha fino al 70% in meno di possibilità di essere chiamata per un colloquio, rispetto a una candidata identica ma con nome “autoctono” e senza segni religiosi.

Anche quando ottengono un impiego, molte raccontano episodi di microaggressioni quotidiane: domande inopportune, richieste di “adattarsi”, pressioni per togliere il velo o per rinunciare a pratiche religiose come il digiuno. In alcuni casi, vengono isolate dai colleghi o escluse da percorsi di carriera.

La discriminazione non riguarda solo il velo, ma un’intera immagine sociale della donna musulmana come non compatibile con i valori aziendali. Un pregiudizio profondo, invisibile, che agisce nelle assunzioni, nelle promozioni, nel linguaggio manageriale.

Spazio pubblico e violenza islamofoba

Camminare per strada, prendere un tram, entrare in un supermercato: per molte donne musulmane, anche queste azioni quotidiane possono diventare esperienze spiacevoli. Gli episodi di violenza islamofoba contro donne con il velo sono in costante aumento in tutta Europa. Spesso si tratta di aggressioni verbali, insulti, minacce. Ma non mancano casi di violenza fisica, anche brutale.

In Italia, si registrano casi regolari di donne insultate nei bus o nei parchi. In Francia, molte hanno denunciato di essere state spinte, colpite, persino prese a calci. E spesso, chi assiste tace. La società sembra assuefatta, incapace di reagire, complice nel silenzio.

Educazione, stampa, politica: la narrazione distorta

A scuola, le bambine musulmane imparano molto presto che la loro diversità può diventare un problema. Le insegnanti che indossano il velo vengono spesso escluse dalle assunzioni nella scuola pubblica. Le studentesse raccontano episodi di derisione, emarginazione, pressioni psicologiche.

Nei media, le donne musulmane sono raramente rappresentate con complessità. Quando appaiono, è spesso in ruoli stereotipati: vittime da salvare, mogli sottomesse, simboli di un Islam “invasivo”. Mancano completamente rappresentazioni autentiche, autonome, emancipate.

In politica, la questione viene strumentalizzata. A destra come a sinistra, il corpo delle donne musulmane è usato come leva ideologica. Da un lato si promette di vietare il velo “per difendere le donne”; dall’altro si parla di integrazione senza mai interpellare direttamente le protagoniste.

Voci e volti della resistenza

Ma nonostante tutto, le donne musulmane non sono silenziose. In tutta Europa stanno nascendo collettivi, associazioni, blog, podcast, reti di supporto femminista e intersezionale. Donne che prendono la parola, che scrivono libri, che si candidano in politica, che insegnano, che denunciano.

Sono le voci di una resistenza quotidiana, fatta di coraggio, cura e determinazione. Alcune si espongono apertamente sui social, raccontando episodi di razzismo con ironia e lucidità. Altre operano nel territorio, aiutando le più giovani, creando spazi sicuri, formando le scuole, parlando con i media.

Il loro messaggio è chiaro: non vogliamo essere compatite, vogliamo essere rispettate. Non vogliamo togliere il velo per piacervi, vogliamo scegliere liberamente come esprimere la nostra identità.

Conclusione: allearsi, non parlare al posto loro

Se davvero vogliamo costruire una società antirazzista e femminista, dobbiamo iniziare ad ascoltare le donne musulmane. Non a parlare al posto loro. Non a interpretarle. Ma ad allearci, con rispetto, senza paternalismo.

Serve una trasformazione culturale che metta in discussione le fondamenta coloniali del nostro modo di pensare il genere, la religione, l’identità. Serve un impegno concreto per creare spazi di parola, rappresentanza, potere per chi oggi viene sistematicamente esclusa.

Perché la libertà non si misura da quanto una donna si scopre. Ma da quanto è libera di scegliere. E oggi, in Europa, molte donne musulmane stanno ancora lottando per poterlo fare.

Articoli correlati

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

social a.r.

1,264FansMi piace
4,280FollowerSegui
- Advertisement -

libri e letteratura