Moschee vandalizzate: il nuovo volto dell’islamofobia di strada in Europa
In un quartiere periferico di Berlino, una moschea viene imbrattata con svastiche durante la notte. A Marsiglia, bottiglie incendiarie vengono lanciate contro il centro islamico locale. A Roma, scritte islamofobe compaiono sul muro di un centro culturale musulmano. Non sono episodi isolati, né fatti occasionali. Queste sono le cronache quotidiane di un’Europa che, dietro la facciata della tolleranza e della legalità, lascia spazio a un’islamofobia sempre più aggressiva, diretta e violenta. L’islamofobia non vive solo nelle leggi, nei media o nelle istituzioni: vive nei vicoli, nei quartieri, nelle mani di chi trasforma l’odio in atti concreti contro i luoghi di culto musulmani.
La moschea come bersaglio simbolico
Colpire una moschea significa colpire un’intera comunità. Non si tratta semplicemente di un edificio religioso: la moschea rappresenta il cuore pulsante della vita sociale e spirituale per milioni di musulmani in Europa. È il luogo dove si prega, dove si incontrano le famiglie, dove si organizzano attività educative, dove si cerca rifugio spirituale e supporto comunitario. Quando questi luoghi vengono presi di mira, l’attacco va ben oltre il danno materiale: è un’aggressione all’identità, alla fede e al senso stesso di appartenenza.
Gli attentati contro le moschee assumono molte forme: vandalismi notturni, incendi dolosi, lanci di pietre, scritte d’odio, atti di profanazione. In alcuni casi, come avvenuto in Svezia o in Germania, si sono verificati veri e propri attentati terroristici che hanno messo in pericolo vite umane. Ogni atto violento alimenta un clima di paura che costringe intere famiglie musulmane a vivere con la costante preoccupazione per la propria sicurezza.
Un fenomeno sistemico e trasversale
Spesso si tende a derubricare questi episodi a “gesti isolati di fanatici”. Ma questa narrazione è fuorviante e pericolosa. L’islamofobia che colpisce le moschee in Europa è il risultato di un clima sociale costruito giorno dopo giorno da anni di retorica politica tossica, da narrazioni mediatiche che criminalizzano la presenza musulmana, da leggi che rendono sempre più difficile la libertà religiosa.
In Francia, ad esempio, la cosiddetta “legge contro il separatismo” ha portato alla chiusura amministrativa di decine di moschee, spesso con pretesti burocratici o presunti legami estremisti mai comprovati. In Germania, numerose moschee subiscono regolarmente vandalismi, con dati ufficiali che mostrano centinaia di episodi l’anno. In Italia, l’assenza di una legge sulla libertà religiosa pienamente riconosciuta per l’Islam ha relegato molti luoghi di culto musulmani in un limbo giuridico che li espone ulteriormente ad attacchi e strumentalizzazioni politiche.
L’odio alimentato dai media e dalla politica
Non si può parlare di attacchi alle moschee senza affrontare il ruolo cruciale svolto dai media e dalla retorica politica. Testate giornalistiche e talk show alimentano quotidianamente lo stereotipo del musulmano pericoloso, radicale, incompatibile con i valori europei. Ogni fatto di cronaca che coinvolge un musulmano viene spesso presentato come sintomatico di una presunta “invasione islamica” o di un’infiltrazione fondamentalista.
Parallelamente, partiti politici di estrema destra e movimenti identitari cavalcano questa narrativa per costruire consenso elettorale, indicando le moschee come simbolo visibile della “minaccia” islamica. Lo fanno evocando lo spauracchio della “sostituzione etnica”, dell’islamizzazione delle città europee, dell’incompatibilità culturale. In questo clima, attaccare una moschea diventa per alcuni un gesto legittimato ideologicamente.
La complicità del silenzio istituzionale
Uno degli aspetti più gravi è l’atteggiamento di indifferenza o minimizzazione da parte delle istituzioni. Troppo spesso gli attacchi alle moschee non vengono indagati con la dovuta serietà, vengono archiviati come atti di teppismo o vandalismo generico, senza riconoscere la matrice islamofoba del crimine.
In molti Paesi europei manca ancora una reale legislazione specifica sui crimini d’odio religiosi. Questo vuoto normativo consente agli autori degli attacchi di agire impunemente e alle vittime di sentirsi abbandonate dallo Stato. La mancanza di dati statistici ufficiali e sistematici sui crimini contro i luoghi di culto musulmani è, di per sé, una forma di negazione del problema.
La mancanza di dati statistici ufficiali e sistematici sui crimini contro i luoghi di culto musulmani è, di per sé, una forma di negazione del problema.
Nella stessa Europa in cui le moschee vengono vandalizzate, le comunità musulmane si trovano spesso anche sotto sorveglianza discriminatoria da parte delle forze dell’ordine, come abbiamo raccontato approfonditamente in Islamofobia e forze dell’ordine: controlli a senso unico e profiling razziale.
Dalla paura all’autocensura
Le conseguenze psicologiche sulla comunità musulmana sono pesantissime. Dopo ogni atto di vandalismo o attacco incendiario, molte famiglie iniziano ad avere paura persino di frequentare le moschee, soprattutto durante le preghiere serali o nelle festività religiose.
Alcuni centri islamici scelgono di ridurre le attività pubbliche, di limitare l’apertura degli spazi comunitari o di rafforzare i sistemi di sicurezza privati a proprie spese. In molti casi, le moschee si trasformano in veri e propri bunker per proteggersi da minacce esterne, perdendo quella funzione di apertura e dialogo per cui erano state create.
Le donne musulmane, le prime bersaglio
Particolarmente vulnerabili sono le donne musulmane visibilmente identificate tramite il velo. Nei pressi delle moschee, le donne sono spesso insultate, minacciate o aggredite fisicamente. In alcuni casi documentati in Germania, Paesi Bassi e Regno Unito, donne musulmane sono state aggredite proprio mentre entravano o uscivano dai luoghi di culto.
L’aggressione non è solo fisica, ma è una continua pressione psicologica: le costringe a interrogarsi ogni giorno sulla propria visibilità religiosa, sulla possibilità di esprimere liberamente la propria fede, sulla sicurezza propria e dei propri figli.
L’internazionalizzazione dell’odio
L’islamofobia contro le moschee non conosce confini nazionali. Reti di estrema destra, gruppi suprematisti bianchi e forum online alimentano un clima di odio transnazionale, condividendo materiali propagandistici, strategie di intimidazione e giustificazioni ideologiche per gli attacchi.
I manifesti di suprematisti che hanno compiuto stragi, come l’attentatore di Christchurch in Nuova Zelanda, contenevano espliciti riferimenti contro le moschee e l’Islam. Il suo gesto, pur avvenuto fuori dall’Europa, è stato celebrato in molte piattaforme dell’estrema destra europea come un “modello” da emulare.
La resistenza silenziosa delle comunità musulmane
Di fronte a tutto questo odio, le comunità musulmane europee continuano a resistere. Nonostante gli attacchi, i vandalismi e la paura, le moschee continuano ad aprire le porte, a organizzare eventi interreligiosi, a offrire aiuto sociale a chiunque ne abbia bisogno.
In molte città europee nascono reti di solidarietà tra cittadini musulmani e non musulmani che si stringono attorno ai luoghi di culto colpiti. Marce silenziose, fiaccolate, petizioni popolari e campagne di sensibilizzazione provano a rompere il muro di indifferenza istituzionale.
Il dovere di una risposta politica forte
La lotta contro l’islamofobia che colpisce i luoghi di culto non può essere lasciata solo alle vittime. Serve una risposta politica forte e determinata: leggi efficaci contro i crimini d’odio, indagini serie su ogni atto di vandalismo o intimidazione, protezione attiva delle moschee minacciate.
Serve una svolta culturale che ponga fine alla demonizzazione continua dell’Islam nei media e nella politica. È necessario riconoscere che ogni moschea vandalizzata è un fallimento collettivo della società europea nel garantire libertà religiosa, dignità e sicurezza a tutti i suoi cittadini.
Una battaglia per la democrazia
In ultima analisi, la difesa delle moschee non è una questione che riguarda solo i musulmani, ma riguarda la tenuta stessa della democrazia europea. Quando una minoranza religiosa è perseguitata nei suoi luoghi di culto, nessuna altra libertà è realmente al sicuro. Ogni moschea difesa dall’odio è un argine eretto contro la deriva autoritaria, xenofoba e intollerante che minaccia l’intera società.
Non possiamo permettere che l’Europa diventi il continente dove i luoghi di culto musulmani esistono sotto assedio permanente. La dignità e la sicurezza dei musulmani europei sono una misura della civiltà democratica che ancora vogliamo difendere.