Supporto legale migranti: una rete dal basso per chi non ha voce
Nel silenzio delle aule dei tribunali, nei corridoi degli uffici immigrazione, dietro le porte chiuse delle questure, si decidono i destini di migliaia di persone. Migranti che non parlano italiano, che non conoscono le leggi, che non hanno soldi per pagare un avvocato. Eppure, da nord a sud dell’Italia, c’è chi si rifiuta di restare a guardare. È il supporto legale dal basso: una rete fatta di avvocati volontari, sportelli autogestiti, collettivi, associazioni, studenti, attivisti. Gente che ogni giorno difende i diritti di chi non ha voce.
A Milano, ogni martedì pomeriggio, in una stanza della Casa dei Diritti, un gruppo di legali riceve decine di persone. Ci sono nigeriani appena arrivati da Lampedusa, bengalesi con documenti scaduti, donne fuggite dalla violenza domestica. Si chiama “Sportello Rotte Legali”, ed è nato nel 2017 dopo uno sgombero violento. “Ci siamo resi conto che moltissimi migranti non avevano alcun accesso alla tutela legale, né pubblica né privata”, racconta Daniela, avvocata penalista. “Abbiamo iniziato con due sedie e un tavolino. Ora siamo in otto, con turni settimanali.”
Il supporto legale ai migranti è spesso l’ultima barriera tra una vita dignitosa e la clandestinità. Senza documenti regolari, tutto si complica: il lavoro, l’abitazione, la sanità. Eppure, accedere a una consulenza legale è quasi impossibile per chi non ha reddito. Gli studi legali privati sono inaccessibili, quelli pubblici sovraccarichi o assenti. In questo vuoto si inseriscono le reti di solidarietà legale, come quella descritta nel nostro articolo “Accoglienza dal basso: chi apre la propria casa a chi è stato rifiutato da tutti”, dove spesso è proprio l’aiuto legale a determinare se un’accoglienza sia possibile o no.
A Napoli, lo “Sportello Diritti” del centro sociale Ex OPG è attivo dal 2016. Ogni lunedì pomeriggio offre consulenze gratuite su permessi di soggiorno, ricorsi contro il diniego d’asilo, diritti sul lavoro. “In un Paese dove il razzismo istituzionale è diventato la norma, essere legali significa resistere”, dice Ahmed, attivista egiziano e studente di giurisprudenza. “Difendiamo chi non può difendersi da solo.”
Spesso questi sportelli non si limitano alla consulenza. Accompagnano le persone alle udienze, scrivono lettere, denunciano abusi, fanno da mediatori con gli uffici pubblici. In molti casi raccolgono fondi per pagare le spese processuali, attivano reti di sostegno, cercano alloggi sicuri per le persone in attesa di risposta.
A Roma, il collettivo “Legali per la Giustizia” ha seguito oltre 500 casi negli ultimi tre anni. Dal trattenimento nei CPR (Centri di permanenza per il rimpatrio), ai ricorsi per respingimenti illegittimi, fino ai casi di minori stranieri non accompagnati. “La legge è una giungla, e per chi arriva da un altro Paese, spesso senza sapere leggere o scrivere, è impossibile orientarsi”, racconta Francesca, avvocata. “Noi ci siamo per accendere una luce nel buio.”
In molte città, il supporto legale ai migranti è portato avanti da reti informali. A Firenze, un gruppo di avvocati e attivisti ha creato un “punto legale mobile” che gira tra i mercati, le stazioni, i campi. “Arriviamo dove le persone sono, non aspettiamo che vengano loro da noi. A volte ci basta un banco pieghevole e due sedie.”
Ma non si tratta solo di legge. Il supporto legale è anche ascolto, orientamento, fiducia. “Molti migranti sono stati ingannati più volte. Promesse false, documenti irregolari, truffe. Quando capiscono che sei lì per davvero, si aprono. E allora puoi fare la differenza”, dice Lorenzo, volontario a Torino.
Nel nostro articolo “Reti di mutuo soccorso nei quartieri popolari: quando la solidarietà diventa quotidiana”, abbiamo visto come l’aiuto reciproco passi anche dal sostenere pratiche amministrative complesse. Qui diventa centrale. Perché senza un permesso, senza una carta d’identità, anche il cibo e un tetto diventano impossibili.
Anche i migranti partecipano attivamente a queste reti. A Bologna, il gruppo “Voce Legale” è composto per metà da studenti italiani e per metà da rifugiati. Traducono documenti, raccontano la loro esperienza, orientano i nuovi arrivati. “Nessuno meglio di chi ha vissuto tutto questo può spiegare come affrontarlo”, dice Ismail, 28 anni, originario del Gambia.
In alcune realtà, le reti legali collaborano con medici volontari, psicologi, assistenti sociali. È il caso del progetto “Diritti in Rete” a Palermo, dove si affrontano casi complessi: donne vittime di tratta, minori abusati, lavoratori sfruttati. “Spesso il problema legale è solo la punta dell’iceberg”, racconta Maria, operatrice. “Serve una presa in carico integrata, altrimenti non si va da nessuna parte.”
Il supporto legale dal basso è anche denuncia. Questi sportelli documentano violazioni, scrivono report, portano casi davanti alla stampa e alle istituzioni. Sono stati fondamentali per far emergere gli abusi nei CPR, le deportazioni illegittime, le violenze nei centri. Alcuni collaborano con università, altri con ONG, altri ancora agiscono in totale autonomia.
Ma c’è un punto comune: la gratuità. “Nessuno paga, nessuno si arricchisce. Lo facciamo perché crediamo che la giustizia non debba essere un privilegio”, dice Sara, 32 anni, avvocata a Genova. “E anche se siamo pochi, la differenza la facciamo.”
Il problema, ovviamente, è la sostenibilità. I volontari si autofinanziano, raccolgono fondi tra amici, vendono torte e magliette alle feste per stampare i volantini. Alcuni riescono a ottenere piccoli contributi locali, altri vanno avanti con pochi mezzi. “La vera forza siamo noi stessi”, dice Edoardo, di Padova. “E finché avremo voce, la useremo per chi non ce l’ha.”