Nei quartieri dove lo Stato arriva solo con le pattuglie, dove i servizi sociali sono ridotti all’osso, dove gli spazi pubblici chiudono e le associazioni arrancano, nasce qualcosa di nuovo. O forse di antico. Sono le reti di mutuo soccorso, gruppi informali, orizzontali, autorganizzati che rispondono a bisogni reali con soluzioni concrete, senza chiedere il permesso a nessuno.
A Tor Bella Monaca, periferia est di Roma, un gruppo di giovani ha iniziato distribuendo pacchi alimentari durante la pandemia. Poi sono arrivati i farmaci, le visite domiciliari a persone anziane, la spesa sospesa, i doposcuola gratuiti. “Non siamo un’associazione. Siamo solo vicini di casa che hanno deciso di non lasciarsi soli”, racconta F., 22 anni, che ogni venerdì pomeriggio coordina la raccolta di beni davanti a un supermercato.
Le reti di mutuo soccorso nei quartieri popolari: come funziona la solidarietà dal basso
Lo chiamano mutuo soccorso, ma è molto più di uno scambio. È una forma di relazione, di cura collettiva, di resistenza. E soprattutto, è un modo per ricostruire comunità dove tutto sembra spingere verso la frammentazione.
A Milano, nel quartiere Giambellino, la “Rete Quartiere Solidale” è nata attorno a un centro sociale, ma si è allargata ben oltre. Oggi coinvolge migranti, anziani, famiglie con bambini. Si organizzano per turni di pulizia delle aree comuni, raccolte fondi per le bollette, corsi di italiano, feste di quartiere. “Non vogliamo fare beneficenza. Vogliamo cambiare il modo in cui viviamo insieme”, dice Nour, madre tunisina che partecipa attivamente.
La forza di queste reti di mutuo soccorso sta nella concretezza. Non promettono cambiamenti astratti. Offrono il passeggino che serve, la visita medica, il consulto legale, l’accompagnamento a scuola, la traduzione di un modulo. E lo fanno senza giudicare, senza etichette, senza burocrazia. “Chi ha bisogno oggi riceve, chi potrà domani darà”, è la regola implicita.
Anche nel nostro articolo “Accoglienza dal basso: chi apre la propria casa a chi è stato rifiutato da tutti”, abbiamo raccontato forme di solidarietà reali, nate dal basso. Ma qui si tratta di intere comunità che si auto-organizzano, creando strutture parallele che resistono ogni giorno.
A Napoli, nel rione Sanità, la rete “Vico Solidale” ha riattivato un’ex bottega e ne ha fatto un centro di scambio gratuito. Abiti, giochi, alimenti. Tutto donato, tutto distribuito. Nessun controllo su chi prende, nessuna schedatura. “Il bisogno non ha documenti”, scrive un cartello all’ingresso.
A Palermo, nel quartiere Ballarò, un gruppo di giovani afrodiscendenti ha creato una piccola farmacia sociale. Raccoglie farmaci non scaduti, li cataloga, li distribuisce gratuitamente a chi ne ha bisogno. Con il supporto di alcuni medici volontari, organizzano anche giornate di visite gratuite. “Non siamo eroi. Siamo quelli che lo Stato non vede”, dicono.
Queste reti spesso si scontrano con ostilità. Alcuni le accusano di favorire l’illegalità. Altri le ignorano completamente. Eppure, sono le uniche ad aver resistito durante le emergenze: Covid, crisi energetica, rincaro alimentare. Quando le istituzioni si sono bloccate, le reti di mutuo soccorso hanno continuato a portare medicine e pane.
A Firenze, il gruppo “Spesa per Tutti” è nato in un condominio popolare. Ogni scala ha un referente, ogni settimana ci si organizza per cucinare pasti caldi da distribuire agli inquilini più fragili. “Abbiamo scoperto che il nostro vicino di pianerottolo viveva senza luce. Non ce ne eravamo mai accorti”, dice Marco, 34 anni. “Ora non siamo più solo vicini. Siamo comunità.”
Queste esperienze si moltiplicano. A Torino, nel quartiere Aurora, si è formata una rete che distribuisce materiale scolastico, organizza tutoraggi gratuiti e supporta madri sole. A Bologna, il progetto “Spazi Comuni” unisce migranti, studenti e precari per gestire insieme una ex scuola, ora diventata punto di riferimento per centinaia di persone.
Tutto questo accade senza finanziamenti, senza bandi, senza riconoscimenti ufficiali. Ma produce un valore immenso. Perché non si tratta solo di assistenza, ma di dignità, di legami, di possibilità.
Ecco perché parliamo di reti di solidarietà: perché non sono gesti occasionali, ma sistemi stabili, costruiti nel tempo, capaci di adattarsi e resistere. Sistemi che mostrano un’altra idea di società: fondata sulla cura reciproca, sulla fiducia, sulla giustizia sociale.
Il loro impatto è visibile. Dove ci sono reti di mutuo soccorso, si abbassa la conflittualità, si aumenta il senso di sicurezza, si crea una maggiore coesione. Bambini che avrebbero abbandonato la scuola trovano un sostegno. Donne sole trovano ascolto. Anziani isolati ritrovano compagnia.
Queste reti cambiano anche chi partecipa. “Prima pensavo solo a sopravvivere. Ora mi sento parte di qualcosa”, dice Samir, 25 anni, rifugiato siriano che oggi coordina le distribuzioni settimanali nel suo quartiere.
Nel nostro articolo “Cibo, cura e ascolto: le cucine solidali antirazziste che resistono nelle periferie italiane”, abbiamo visto come il cibo possa unire. In queste reti, è tutto ciò che serve a un essere umano che diventa motivo di legame: cure, ascolto, accoglienza.
Le reti di mutuo soccorso non risolvono tutti i problemi. Ma mostrano che un’altra risposta è possibile. E forse è proprio da qui che dobbiamo ripartire: dai cortili, dai pianerottoli, dalle cucine, dai tavoli condivisi. Da persone che si organizzano, si aiutano, si guardano negli occhi.