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domenica, 22 Giugno,2025

Razzismo in Italia oggi: leggi, media e attivismo 2025

🟥 Razzismo in Italia oggi: tra leggi che escludono, media che distorcono e voci che resistono

L’Italia di oggi non è quella del dopoguerra né quella degli anni Novanta. Eppure, nel 2025, il razzismo continua a insinuarsi nella vita quotidiana, nella burocrazia, nel linguaggio politico e nelle immagini che popolano media e social. Non si presenta sempre in forma di insulti o violenze dirette. Spesso è sottile, travestito da normalità, legittimato da norme e narrazioni che sembrano innocue. È un razzismo diffuso, radicato, e per questo più difficile da combattere. Ma è anche un razzismo che genera risposte: dall’attivismo urbano alla denuncia artistica, dalle lotte per la cittadinanza a un giornalismo più consapevole.

Quando la legge discrimina: razzismo istituzionale e norme escludenti

Nel nostro ordinamento, molte leggi si definiscono “neutrali”. Eppure, produrre effetti discriminatori senza dichiararlo apertamente è una delle forme più insidiose di razzismo istituzionale. Dal requisito della cittadinanza italiana per accedere a concorsi pubblici, al mancato riconoscimento del diritto alla residenza per chi è senza contratto, le barriere legali penalizzano sistematicamente le persone migranti e i loro figli. Molti bandi regionali e bonus comunali escludono di fatto migliaia di famiglie in regola con i documenti, ma prive della cittadinanza italiana, perpetuando una condizione di marginalità che si trasmette di generazione in generazione.

Il razzismo istituzionale non è solo un errore amministrativo: è una forma di potere che decide chi merita diritti e chi può restare invisibile.

Media e razzismo: la fabbrica degli stereotipi

Accendere la TV o scorrere i titoli dei principali quotidiani può bastare per percepire quanto la narrazione dominante costruisca un’immagine distorta delle persone straniere o racializzate. I media italiani tendono a raccontare i migranti solo in relazione a crimini, emergenze o problemi di ordine pubblico. Le storie positive, i successi, le vite quotidiane rimangono eccezioni. I titoli urlati nei giornali locali (“Baby gang magrebina”, “Tunisini violenti”) creano un immaginario dove l’identità etnica è già un giudizio.

La rappresentazione conta. E se l’unico volto del migrante è quello del problema, allora ogni persona racializzata diventa, nel subconscio collettivo, un’anomalia da sorvegliare. È questo il meccanismo che rende naturale il controllo di polizia per chi ha la pelle scura, e invisibile il privilegio bianco.

I nuovi attivismi: resistere in rete e nelle città

Il 2025 vede l’esplosione di nuove forme di attivismo antirazzista, spesso guidate da giovani racializzati. Lontani dalle organizzazioni tradizionali, usano i social per denunciare episodi, creare consapevolezza e mobilitare comunità. Account Instagram come Italiani senza cittadinanza, Afroitaliani Uniti, Non sono il tuo negro, si trasformano in spazi di narrazione alternativa e formazione politica. Le storie si moltiplicano: ragazze nate a Milano che non possono votare, ragazzi esclusi dai tirocini per “assenza di cittadinanza”, madri che affrontano la scuola italiana come un campo minato.

Ma l’attivismo è anche fisico: dalle assemblee nei centri sociali ai presidi contro le retate a Milano o Torino, passando per le proteste nei tribunali dove si negano ricongiungimenti o cittadinanze. Iniziative come quelle del collettivo Razzismo Brutta Storia continuano a tenere alta la voce anche nelle scuole, dove si combattono stereotipi e si costruiscono alleanze.

Il linguaggio che esclude

Parlare non è mai un atto neutro. E il linguaggio razzista non vive solo nelle parole apertamente offensive. Vive nelle frasi che si fingono innocue: “Non sembri straniero”, “Da dove vieni davvero?”, “Per essere africano sei educato”. Microaggressioni, cioè piccole ferite quotidiane che si sommano e plasmano un senso di esclusione perenne.

La lotta al razzismo passa anche da qui: dall’educazione linguistica, dalla revisione dei programmi scolastici, dal rifiuto delle barzellette “innocue” che perpetuano pregiudizi.

La cittadinanza negata: italiani senza diritti

Nel 2025, un milione di giovani nati o cresciuti in Italia è ancora senza cittadinanza. Si tratta di ragazzi e ragazze che parlano italiano, hanno studiato nelle nostre scuole, tifano le nostre squadre, ma per lo Stato rimangono stranieri. A 18 anni possono fare richiesta, ma non c’è garanzia di risposta, né di accoglimento. Le storie si moltiplicano: pratiche perse, silenzi delle istituzioni, attese di anni, a volte rifiuti senza spiegazioni.

La legge attuale è costruita per escludere. E mentre la politica rimanda, si consuma un’ingiustizia generazionale.

Per approfondire leggi anche: Razzismo istituzionale in Italia: leggi, silenzi e normalizzazione

Quando la divisa fa paura

Il razzismo in Italia è anche un fatto di ordine pubblico. Troppe testimonianze parlano di fermi ingiustificati, perquisizioni arbitrarie, umiliazioni pubbliche. La divisa, per molti giovani racializzati, non è un simbolo di protezione ma un potenziale pericolo. Il concetto di profiling razziale resta fuori dal dibattito istituzionale, ma presente nelle vite reali di chi subisce controlli quotidiani solo per il colore della pelle.

Leggi anche: Razzismo in divisa: profiling, abusi e paura nelle strade italiane

Il ruolo delle scuole e dei docenti

La scuola è uno degli spazi più strategici per decostruire il razzismo. Ma spesso è anche un luogo dove stereotipi e discriminazioni si riproducono. Dai libri di testo che ignorano le storie africane, asiatiche o sudamericane, fino ai consigli non richiesti su “percorsi tecnici più adatti”, la scuola italiana è ancora lontana da una vera inclusività. Eppure sono tante le insegnanti e i docenti che resistono: organizzano laboratori antirazzisti, introducono letture alternative, portano le testimonianze degli studenti al centro del dibattito.

L’Italia che resiste

Non tutto è immobilismo. In questi anni stanno nascendo movimenti solidi, collaborazioni internazionali, reti di attivisti che agiscono anche fuori dai riflettori. L’Italia antirazzista esiste, è viva, parla tante lingue e ha molti volti. Resiste nei quartieri, nelle università, nei podcast, nelle canzoni, nei video TikTok che raccontano esperienze reali.

Conclusione: scegliere da che parte stare

Nel 2025, il razzismo in Italia non è un’eccezione. È una struttura che attraversa leggi, rappresentazioni e silenzi. Ma è anche qualcosa che possiamo combattere. Ogni persona può scegliere da che parte stare: se alimentare stereotipi o smontarli, se ripetere barzellette razziste o fermarle, se girare lo sguardo o testimoniare.

Il cambiamento è possibile. E comincia da qui: dal raccontare ciò che molti fingono di non vedere.

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