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domenica, 20 Luglio,2025

Bullismo femminile: lo sguardo che esclude e le parole che non si dicono

Bullismo femminile: esclusione silenziosa, relazioni tossiche e ferite invisibili

Non c’era una sola parola cattiva. Nessuna offesa esplicita, nessun insulto diretto. Eppure ogni giorno Anna sentiva di valere meno. Quando entrava in classe, il gruppetto delle sue “amiche” si spostava appena, lasciando un posto vuoto lontano da loro. A ricreazione, ridevano tra loro, e quando lei si avvicinava, il silenzio calava come una barriera invisibile. Nei messaggi serali, la chat di gruppo taceva per ore, ma poi, il giorno dopo, le altre parlavano di cose che “lei non poteva capire”.

Questo è bullismo femminile. Non ha lividi visibili, ma lascia cicatrici profonde. È fatto di sguardi, di silenzi, di esclusioni calcolate. Di foto condivise da cui sei tagliata fuori. Di risate che si spezzano quando arrivi. Di messaggi non ricevuti, ma mandati a tutte le altre. Di parole dette “per scherzo” che però fanno male ogni volta. È violenza psicologica. È potere esercitato attraverso la manipolazione del gruppo. È la costruzione di un’identità dominante, che si nutre dell’annientamento lento di un’altra.

A differenza del bullismo maschile, spesso più fisico o esplicito, il bullismo femminile ha un’arma sottile: l’intelligenza sociale. Si basa sul controllo delle relazioni, sul rifiuto selettivo, sull’uso del linguaggio non verbale per distruggere senza mai “sporcarsi le mani”.

Uno studio dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza ha mostrato che oltre il 60% delle ragazze vittime di bullismo subisce forme di esclusione relazionale e pressione sociale. Non sono prese a pugni. Sono prese di mira con il silenzio.

🔗 Ne avevamo parlato anche in “Sorridi o verrai preso di mira: il bullismo contro chi è ‘troppo diverso’”, dove ogni piccola differenza diventa pretesto per creare distanza, gerarchie, umiliazione.

Il bullismo tra ragazze nasce spesso dentro le relazioni strette. Non parte da un gruppo esterno, ma da chi dovrebbe essere amica, confidente, complice. È un branco che si muove tra i corridoi con il sorriso sulle labbra, mentre infligge silenziose condanne sociali. “Non sei abbastanza bella, non sei abbastanza cool, non ti vesti bene, non fai ridere, sei pesante, sei sbagliata”.

E l’esclusa resta a guardare. Si interroga. Si colpevolizza. Inizia a dubitare di sé. E se ne convince. Perché quando la ferita non è dichiarata, non si sa neanche da dove iniziare a guarire.

Ci sono ragazze che, pur di essere accettate, accettano tutto. Battute, umiliazioni velate, sfottò costanti, esclusioni temporanee. Si annullano. Cambiano sé stesse. Rinunciano a parti autentiche del proprio carattere pur di non perdere il posto nel gruppo. Ma quel posto, comunque, resta precario, instabile, minacciato da ogni minima diversità.

🔗 In parte lo abbiamo raccontato anche in “La discriminazione tra colleghe: quando il branco è tutto al femminile”: quel meccanismo di attacco passivo, sottile, infido, inizia spesso già tra i banchi.

Le vittime di bullismo femminile sviluppano con il tempo forme di ansia sociale, isolamento, depressione, alimentate dalla sensazione di essere inadatte per definizione. E spesso non denunciano. Perché come si spiega a un adulto che la tua amica ti ha “guardata in un certo modo”? Come fai a dire che non ti ha invitata, ma lo ha fatto apposta per umiliarti? Come racconti un crimine che non lascia prove?

Anche la scuola spesso ignora. Gli insegnanti vedono ragazze che si parlano, che si siedono vicine, che “non litigano mai”. Ma non vedono che non si ascoltano, che non si rispettano, che non si includono davvero.
E così il bullismo femminile cresce indisturbato, mentre le vittime imparano a nascondere il dolore sotto un sorriso forzato.

Serve una rivoluzione nella lettura delle dinamiche femminili. Serve capire che non tutte le amicizie sono sane, che l’aggressività non si manifesta solo con violenza fisica, e che le ragazze possono essere vittime e carnefici in forme molto più raffinate e distruttive.

Serve un’educazione sentimentale, emotiva, relazionale. Serve insegnare alle ragazze a riconoscere i meccanismi di manipolazione. Serve dare spazio a parole come empatia, rispetto, cura, alleanza. Serve creare gruppi dove l’identità non è costruita per esclusione, ma per accoglienza.

Ogni ragazza dovrebbe potersi sentire parte di qualcosa senza dover rinunciare a sé stessa. Ogni adolescente dovrebbe sapere che chi ti fa sentire meno non è amico, è oppressore. E ogni scuola dovrebbe aprire gli occhi davanti a questo dolore silenzioso.

Il bullismo femminile non urla, ma lacera. Non picchia, ma logora. Non esplode, ma consuma. È tempo di nominarlo, riconoscerlo, combatterlo.


📣 Hai vissuto forme di bullismo psicologico o relazionale tra ragazze? Raccontaci la tua storia, anche in forma anonima. Scrivi a redazione.antirazzismo@gmail.com
Le tue parole possono rompere il silenzio che fa male.

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