Discriminazione tra donne sul lavoro: dinamiche tossiche e silenzi violenti
di Antonella Hropich
Ho sempre detestato le “capobranco”. Sin da bambina, a scuola, c’era sempre una compagna più meschina delle altre che si imponeva sul gruppo: manipolava, escludeva, comandava.
Crescendo, ho scoperto che quella dinamica non appartiene solo all’infanzia: esiste in ogni ambiente, anche nel mondo del lavoro. Dove c’è un gruppo, c’è quasi sempre un branco. E dove c’è un branco, c’è un capobranco. O una capobranco.
Ne conosco una, in particolare. Si atteggia a “maestra”, si impone sia sulle colleghe che sulle clienti. Sempre pronta a dettare regole di educazione, ma lei stessa non sa nemmeno cosa significhi la parola educazione.
Un giorno, in ufficio, durante una semplice discussione sulla temperatura dell’aria condizionata, si è rivolta a una collega con tono sprezzante:
“Se non vuoi regolare la temperatura come voglio io, tanto vale che muori tu, perché dobbiamo soffocare noi?”
Non era una battuta. Non era una frase detta per sbaglio. Lì dentro, in quel modo aggressivo e assurdo, c’era tutta la sua intolleranza verso chiunque osi pensarla diversamente da lei.
La capobranco è opportunista, sa leccare il pelo al capo con dolcetti e sorrisi, ma appena qualcuno non si allinea al suo modo di fare, lo cancella. Ignora, esclude, isola. In ufficio, non ti rivolge più la parola, nemmeno un saluto. E non è una dimenticanza: è una punizione.
Con alcune colleghe ha litigato così pesantemente da arrivare a farsi lanciare oggetti. Con altre ha semplicemente scelto l’arma del silenzio: se non ti sottometti, sparisci dal suo radar.
La si riconosce subito: ha sempre il volto corrucciato, entra al lavoro con l’aria di chi ha già pronte le sue ramanzine, soprattutto ai clienti, giustificandosi sempre con il mantra: “Io rispetto le regole.”
Ma la verità è un’altra: pretende di dettare regole. Si posiziona – da sola – su un piedistallo morale, dichiarando di non sbagliare mai. E se capita, la colpa è sempre di qualcun altro.
Il suo potere è quello tipico di chi crea attorno a sé un piccolo impero fatto di adulazioni verso l’alto e durezza verso chi sta al suo stesso livello.
Una donna che premia l’obbedienza e punisce l’indipendenza. Una collega che non accetta il confronto, ma solo la sottomissione.
E così, nell’ufficio come nei banchi di scuola, si ripete lo stesso copione: la discriminazione tra donne, tra colleghe. Perché non sempre è il maschio a discriminare. A volte, le peggiori nemiche delle donne… sono altre donne.
Chi è Antonella Hropich
Biografia
Antonella Hropich è una scrittrice e testimone diretta di ingiustizie, bullismo e discriminazioni, temi che ha affrontato con coraggio nei suoi libri e nei numerosi interventi pubblici. Ha collaborato con la sorella Alessandra Hropich in opere che raccontano storie vere di soprusi e violenze spesso taciute, dando voce a chi non riesce a difendersi. Tra le sue pubblicazioni più note figurano “Vittima di mille ingiustizie!”, in cui ripercorre le umiliazioni subite sin dall’infanzia, e “Mostri! Predatori di felicità”, un’opera corale che denuncia manipolazioni psicologiche, violenze domestiche e forme di controllo subdolo, non solo da parte di uomini ma anche di donne.
Antonella lavora come dipendente in una grande azienda e affianca alla sua attività lavorativa quella di relatrice in incontri e convegni su bullismo, mobbing e violenza psicologica. Il suo stile diretto, ironico e carico di umanità ha reso i suoi libri strumenti di consapevolezza e riscatto.
Con le sue parole e la sua esperienza, Antonella dimostra che anche dalle storie più dolorose può nascere una forza capace di aiutare gli altri a uscire dal silenzio.
Presto, riprenderà a scrivere per la rubrica “Dillo ad Antonella ” sul giornale www.cavalierenews.it