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domenica, 20 Luglio,2025

Bullismo e classismo: troppo povero per stare con noi

Bullismo e classismo: quando la povertà diventa un motivo per essere esclusi

La felpa era pulita, ma non era firmata. Le scarpe erano comode, ma non nuove. Il cellulare era vecchio, con la cover rovinata. Quando Gabriele si è seduto al suo banco, il primo sguardo è stato verso i suoi piedi. Il secondo verso la tasca della giacca. E il terzo verso il nulla, mentre cercava di sparire. Attorno a lui, risate soffocate, battutine e quell’invisibile, costante sensazione di non appartenere.

Il bullismo, oggi, non si limita più alla forza fisica, alla presa in giro per l’aspetto o all’attacco per un’identità. C’è un altro tipo di violenza che cresce silenziosa tra i banchi di scuola: si chiama classismo. È l’esclusione, la derisione, l’umiliazione sistematica verso chi non ha abbastanza soldi per essere come gli altri. È il bullismo contro la povertà, la modestia, contro chi non può permettersi “di stare al passo”.

Spesso, il classismo si manifesta in modo subdolo. Un “non vieni al compleanno perché non hai il regalo”, un “ti mando i compiti via chat, ma tu non hai il telefono giusto”, o un semplice sguardo di superiorità. Ma il messaggio è sempre chiaro: sei fuori, non vali, sei inferiore. È una violenza che non viene percepita come tale, perché “tutti lo fanno” e perché a volte è giustificata con un’eco sociale del tipo “i ragazzi notano le differenze”.

🔗 Se ti interessa come cambiano le dinamiche del bullismo tra pari, guarda l’articolo “Sorridi o verrai preso di mira: il bullismo contro chi è ‘troppo diverso’”, dove gli attacchi partono da chi si distingue per aspetto o gusti.

La scuola, che dovrebbe essere luogo di crescita e inclusione, diventa invece un luogo in cui il consumo e l’apparenza diventano criteri di accettazione. Zaini firmati, vestiti perfetti, smartphone all’ultimo grido: tutto diventa metro di valore personale. E chi non può permetterselo finisce escluso.
Spesso questo porta a cluster di esclusione spontanei: gruppi che si formano non per affinità, ma per conformità al “codice del consumo”. Tutto questo esclude chi non ha.

🔗 L’esclusione organizzata trova eco anche in “Il branco digitale: quando il bullismo si organizza su WhatsApp e Telegram”, dove i gruppi diventano strumenti di potere e marginalizzazione.

Chi viene bersagliato spesso non reagisce—per scelta o per paura di peggiorare le cose—e il disagio cresce. Sentimenti di isolamento, autostima bassa, senso di inadeguatezza. Gabriele smette di parlare in classe, evita le ricreazioni, i compagni perché “non lo capiscono”. Si rifugia nello studio, nei videogiochi, in hobby solitari, perché in quelle aree ha il controllo che gli manca nei rapporti sociali.

In alcuni casi, il classismo spinge i ragazzi ad adottare comportamenti disfunzionali: aprono conti su TikTok per ripagare in visual e like ciò che non hanno, in una gara a ostentare che finisce per inghiottirli. O comprano abbonamenti a riviste o videogiochi per sentirsi accettati.

Serve una cultura di educazione economica relazionale: i ragazzi devono imparare che il valore non sta nelle cose ma nelle persone. Serve che insegnanti e scuole avviino conversazioni su disuguaglianza sociale, sul senso di comunità, sui valori di empatia. Serve coinvolgere le famiglie, creare sportelli di ascolto, parlare di solidarietà concreta, come la condivisione di libri, lo scambio di vestiti, il sostegno reciproco.

Per creare un ambiente scolastico inclusivo, sarebbe utile:

  • organizzare incontri tematici con un educatore o psicologo sulla povertà nascosta tra coetanei;
  • promuovere progetti contro le “marche da status”, dove i ragazzi possano parlare delle pressioni sociali derivanti dal consumo;
  • attivare iniziative di peer mentoring, dove studenti più grandi supportano i compagni con difficoltà economica.

Perché il classismo, come ogni forma di bullismo, non riguarda solo chi lo subisce, ma chi lo assiste in silenzio. Chi osserva e non interviene mette un ingrediente nel veleno collettivo. E chi giudica sulla base delle cose, e non dei valori, sta costruendo un futuro di ingiustizia.

Serve parlare, serve fare rete, serve alzare la voce. Perché non esiste dignità che si possa comprare. E la vera povertà è quella della libertà di essere se stessi, senza timore di essere meno.


📣 Hai visto o vissuto bullismo legato alla povertà o al consumo? Scrivici a redazione.antirazzismo@gmail.com
Ascoltare la tua storia può cambiare la visione di chi legge.

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