Razzismo in Italia: il sistema invisibile che discrimina ogni giorno
Il razzismo in Italia non è solo una questione di insulti per strada o episodi isolati trasmessi nei telegiornali. Esiste un razzismo ben più profondo, radicato nelle strutture istituzionali, nelle norme, nei regolamenti, nei meccanismi amministrativi che, giorno dopo giorno, contribuiscono a discriminare intere fasce di popolazione. È un razzismo subdolo, spesso invisibile ai più, ma devastante per chi lo subisce.
Le istituzioni italiane hanno sempre avuto un rapporto ambiguo con il tema del razzismo. Mentre da un lato si dichiarano impegnate nella promozione dei diritti umani, dall’altro producono normative e prassi amministrative che alimentano esclusione e discriminazione. Basti pensare ai lunghissimi tempi di attesa per il riconoscimento della cittadinanza, ai permessi di soggiorno soggetti a continue restrizioni burocratiche, alle barriere linguistiche imposte nei servizi pubblici, al profiling etnico operato in molti controlli di polizia.
Le leggi sull’immigrazione, ad esempio, rappresentano uno dei nodi centrali del razzismo istituzionale italiano. Norme come il “decreto sicurezza” hanno introdotto limiti all’accoglienza, restrizioni al diritto di asilo e ostacoli alla regolarizzazione dei lavoratori stranieri. Questo produce una condizione di perenne precarietà giuridica, che espone migliaia di persone al rischio di espulsione o di marginalizzazione forzata. Non si tratta solo di numeri: dietro ogni pratica amministrativa c’è la vita reale di donne, uomini e bambini che vivono in Italia da anni, lavorano, studiano, contribuiscono alla società ma che restano esclusi dal pieno riconoscimento di diritti fondamentali.
Un altro aspetto spesso ignorato è il razzismo nell’accesso al lavoro. Le istituzioni italiane raramente intervengono contro le pratiche discriminatorie nel reclutamento del personale, nei contratti precari riservati a lavoratori stranieri, nei salari più bassi imposti a chi non ha la cittadinanza italiana. I controlli ispettivi sono insufficienti, le sanzioni blande, le tutele fragili. Anche in questo caso, il silenzio istituzionale diventa complicità.
Nella scuola, il razzismo istituzionale si manifesta attraverso la ghettizzazione scolastica, l’assenza di politiche serie di inclusione linguistica, la mancanza di insegnanti preparati ad affrontare la diversità culturale. I figli di stranieri vengono spesso indirizzati in percorsi scolastici inferiori, marginalizzati già in età precoce. L’integrazione viene lasciata alla buona volontà dei singoli docenti o delle famiglie, mentre le politiche ministeriali restano vaghe o del tutto assenti.
La sanità non è immune da questi meccanismi. L’accesso ai servizi sanitari è ancora ostacolato per i migranti senza permesso di soggiorno o con documenti precari. Gli sportelli di mediazione linguistica sono insufficienti, le informazioni sui servizi sanitari non sono sempre tradotte, i pregiudizi inconsci di alcuni operatori sanitari condizionano diagnosi e cure. In piena pandemia da Covid-19, questi ostacoli si sono tradotti in rischi maggiori per la salute di migliaia di persone escluse dai canali informativi ufficiali.
Anche il sistema abitativo è permeato di razzismo istituzionale. Le graduatorie per le case popolari penalizzano spesso le famiglie straniere, che hanno difficoltà a produrre i documenti richiesti o vengono scavalcate da normative locali discriminatorie. In molte città italiane, i “quartieri ghetto” non sono il risultato del caso, ma di precise scelte politiche urbanistiche che concentrano i cittadini stranieri in determinate zone, isolandoli dal resto della popolazione.
Tutto questo accade in un clima politico spesso indifferente, se non apertamente ostile. Partiti politici e leader populisti sfruttano il tema del razzismo e dell’immigrazione come terreno di consenso elettorale, alimentando la paura del diverso e la retorica dell’invasione. Le istituzioni, invece di contrastare questi discorsi d’odio, spesso li assecondano, rinunciando al proprio ruolo di garanti dei diritti di tutti.
Il razzismo istituzionale in Italia sopravvive anche grazie al silenzio. Non se ne parla abbastanza nei media mainstream, non si studia a scuola, non viene denunciato con la forza che meriterebbe. Eppure, ogni giorno, centinaia di migliaia di persone subiscono discriminazioni concrete che segnano le loro vite in ogni aspetto: dal lavoro alla salute, dalla scuola all’abitazione, dalla cittadinanza alla sicurezza personale.
Serve una presa di coscienza collettiva. Serve un’informazione libera e coraggiosa, che racconti queste realtà senza edulcorare, senza sconti, senza il timore di urtare la sensibilità politica del momento. Serve soprattutto una politica diversa, che riconosca finalmente il razzismo istituzionale come una piaga reale e strutturale, e che agisca di conseguenza.
Il razzismo in Italia non è una macchia isolata: è un sistema. Un sistema che può essere smantellato solo se viene prima nominato, riconosciuto e affrontato per ciò che è davvero.