back to top
20.5 C
Torino
domenica, 22 Giugno,2025

Lavoro nero e migranti: la schiavitù moderna sotto casa nostra

Lavoro nero migranti: la nuova schiavitù nell’Italia invisibile

C’è un’Italia che lavora sotto il sole, nei campi di pomodori. Che dorme in baracche senza acqua né elettricità. Che viene chiamata “clandestina” ma tiene in piedi interi settori dell’economia. È l’Italia dei migranti sfruttati nel lavoro nero, la nuova schiavitù moderna.

Ogni giorno, migliaia di persone – uomini e donne – vengono impiegate in condizioni disumane, senza contratto, senza tutele, senza diritti. Lavorano in nero, senza poter denunciare, per paura di perdere l’unica fonte di reddito. Perché la loro vita, per il sistema, vale meno.


Il lavoro nero in Italia: un’economia parallela

Il lavoro nero non è un’anomalia. È un pilastro silenzioso dell’economia italiana. Secondo l’Istat, nel 2023 circa il 12% del PIL era prodotto da economia sommersa. In settori come agricoltura, edilizia, ristorazione e assistenza domiciliare, le irregolarità sono la regola.

E chi è il primo bersaglio? I migranti. Soprattutto se:

  • Non hanno il permesso di soggiorno
  • Sono appena arrivati
  • Non conoscono bene la lingua
  • Non hanno una rete familiare

Sono vulnerabili. E quindi perfetti da sfruttare.


Braccianti nei campi: schiavi del pomodoro

Uno dei simboli più evidenti è il caporalato. Nelle campagne del Sud Italia – da Foggia a Ragusa, da Rosarno a Latina – migliaia di migranti raccolgono frutta, verdura, pomodori per pochi euro al giorno. A volte meno di 3 euro l’ora. Spesso lavorano 10-12 ore sotto il sole, senza contratti, senza sicurezza.

Vivono in ghetti, baraccopoli informali, in condizioni igieniche spaventose. Senza accesso ai servizi sanitari, né acqua potabile.

Chi prova a denunciare, rischia. Come Soumaila Sacko, bracciante maliano e sindacalista ucciso nel 2018. Voleva solo aiutare i suoi compagni a costruire un rifugio con materiale abbandonato.


Lavoro domestico: invisibili nelle case degli italiani

Anche nelle nostre case vive lo sfruttamento. Le colf, le badanti, le baby sitter migranti sono spesso costrette a lavorare in nero, per paghe irrisorie, con turni massacranti. In molti casi vivono presso le famiglie, senza orari, senza libertà.

Il lavoro di cura è fondamentale per l’equilibrio sociale italiano. Ma viene dequalificato e invisibilizzato, soprattutto quando a svolgerlo sono donne nere, latinoamericane, dell’Est Europa.

La loro condizione è aggravata dall’isolamento: vivono lontane dai centri urbani, non parlano bene l’italiano, dipendono completamente dalla famiglia datrice di lavoro.


Rider, magazzinieri, lavapiatti: sfruttamento urbano

Nei centri urbani il volto del lavoro nero migrante è quello dei rider, dei facchini nei magazzini logistici, dei lavapiatti nei ristoranti.

Molti rider lavorano con account “affittati”, pagano parte del guadagno al titolare dell’account, non hanno assicurazione. Vengono invisibili al fisco, alla legge, ai clienti.

I facchini spesso vivono in dormitori affollati, lavorano di notte, senza turni ufficiali. Le aziende scaricano la responsabilità su cooperative fittizie o agenzie interinali. Il risultato? Una filiera di sfruttamento senza colpevoli.


La trappola della clandestinità

Molti migranti non hanno permessi regolari. Non perché non vogliano. Ma perché i percorsi di regolarizzazione sono lenti, costosi, pieni di ostacoli.

Senza documenti, non si può lavorare legalmente. Ma nessuno vive senza lavorare. E così si accetta il lavoro nero. Che poi diventa un ricatto: “Se ti lamenti, ti denuncio. Se scioperi, ti licenzio”.

È un sistema perfetto: senza tutele, senza controlli, senza responsabilità.


Quando la politica ignora (o favorisce) lo sfruttamento

La politica italiana parla spesso di “emergenza migranti”. Ma raramente parla dell’emergenza sfruttamento migranti.

Molte sanatorie promesse si sono rivelate flop. I decreti sicurezza hanno reso ancora più difficile la regolarizzazione. Le leggi sul lavoro agricolo non hanno debellato il caporalato. E chi denuncia, viene lasciato solo.

Lo Stato chiude un occhio. Perché il lavoro nero conviene. Fa risparmiare. Permette flessibilità. Alimenta interi distretti produttivi. Ma a costo della dignità di chi lavora.


Le storie dimenticate

  • Wissem Ben Abdela, tunisino, morto in un CPR dopo essere stato trattenuto illegalmente.
  • Mor Diop e Moussa Dieng, senegalesi uccisi a Firenze da un estremista.
  • Sandrine Bakayoko, 25 anni, trovata morta in un casolare dove viveva con altri braccianti.

Ogni nome è una storia di sfruttamento. Di solitudine. Di assenza istituzionale.


Le parole che nascondono la realtà

“Lavoro grigio”, “occupazione informale”, “occupazione flessibile”.
Tanti eufemismi per non dire sfruttamento.

Come spiegato anche nell’articolo 👉 Discriminazioni sottili nella vita quotidiana, il linguaggio gioca un ruolo fondamentale nella rimozione del problema.

Dire che un bracciante “vive in un insediamento informale” è diverso dal dire “vive in una baracca senz’acqua”. Ma è la stessa realtà.


Il ruolo dei media: fake news e stereotipi

Troppo spesso i media parlano di migranti solo quando “delinquono”. Mentre lo sfruttamento quotidiano non fa notizia.

Come mostrato anche in 👉 Fake news e razzismo, molti stereotipi vengono alimentati proprio da informazioni distorte o manipolate.

Il migrante è raccontato come un problema. Raramente come colui che raccoglie i nostri pomodori, lava i nostri piatti, cura i nostri anziani.


Le reti di resistenza

Per fortuna, esistono reti solidali che lottano contro questa realtà.

Come descritto in 👉 Reti di mutuo soccorso nei quartieri popolari, molte associazioni, sindacati di base, cooperative etiche offrono:

  • supporto legale
  • mediazione culturale
  • sportelli anticaporalato
  • iniziative di denuncia

Ma sono isole in un mare di abusi.


Cosa serve per cambiare davvero?

  1. Riforma profonda della legge sull’immigrazione
  2. Percorsi di regolarizzazione rapidi e accessibili
  3. Controlli veri nei luoghi di lavoro
  4. Tutele sindacali estese anche a chi lavora senza contratto
  5. Campagne culturali che cambino la percezione del lavoro migrante

E soprattutto: volontà politica di guardare in faccia la realtà.


Conclusione: il lavoro nero migranti è il nostro specchio

Non possiamo più dire “non sapevo”. Ogni volta che acquistiamo un prodotto a basso costo, che riceviamo un pacco in 24 ore, che paghiamo in nero per una prestazione, partecipiamo a questo sistema.

Il lavoro nero migranti è la nostra schiavitù contemporanea. E non possiamo più ignorarla.

Articoli correlati

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

social a.r.

1,264FansMi piace
4,280FollowerSegui
- Advertisement -

libri e letteratura