Vol spécial è un film documentario uscito nel 2011, diretto da Fernand Melgar, e racconta la vita dei clandestini (in attesa di rimpatrio) presenti in Svizzera. O meglio, dei rinvii delle persone a cui viene revocato (o negato) il permesso d’asilo. In Italia il documentario è stato diffuso grazie a Za Lab.
Le riprese avvengono nel centro di detenzione amministrativa (cioè d’espulsione) di Frambois, a Ginevra. Vengono filmati i colloqui, ovviamente con previo consenso, normalmente riservati, fra gli asilanti e l’amministrazione del centro. È ripreso persino il momento in cui i, così detti, “sans papier” che non hanno voluto lasciare la confederazione elvetica di loro “spontanea volontà”, vengono costretti a salire su di un volo speciale. Le procedure del rimpatrio forzato che vengono mostrate sono, a dir poco, grottesche.
Questo riassunto può apparire un po’ calcato, e anche fazioso: il film non lo è, cioè, come sempre, tenta d’esserlo il meno possibile, e mostra le difficoltà vissute da ambo le parti. Da un lato la rassegnazione di chi è costretto a far rispettare delle leggi (con le quali non per forza concorda), dall’altro chi subisce tutti i limiti del sistema amministrativo.
Oltre alla disperazione di chi si vede negata la propria richiesta, o peggio, di chi di colpo si vede costretto ad abbandonare un paese in cui era riuscito a ricostruire una vita; colpisce l’austera rigidità morale del direttore del centro, che può essere ben riassunta dalle sue stesse parole: “Faccio solo lo sporco lavoro che m’è chiesto di fare, e nel miglior modo possibile”, pronunciate durante la presentazione del documentario al Film Festival di Locarno, in risposta alla domanda: “Come fate a guardarvi allo specchio ogni mattina”?
In discussione infatti non è davvero il processo per cui viene revocato il permesso d’asilo, sicuramente poco umanitario, di cui non viene negata la funzionalità (e nemmeno la necessità).
Ad essere centrale in Vol Spécial, è piuttosto la freddezza della burocrazia che non guarda in faccia nessuno, unita, soprattutto, al modus operandi, che troppo spesso comporta veri e propri abusi di potere, brutale e umiliante, tramite cui avviene questo “rimpatrio forzato” (persone ammanettate, coperte anche in volto, legate alla sedia come criminali internazionali). Ecco, è piuttosto questa la denuncia sociale di cui Melgar si fa ambasciatore: l’inutile durezza dei metodi.
Fernand Melgar non è nuovo al tema delle procedure d’asilo, il regista, nel 2008, con il suo film “la Forteresse”, aveva affrontato lo step precedente: l’attesa d’una risposta alla propria domanda d’asilo. Un po’ come per i migranti diretti verso Melilla, anche i protagonisti de la Forteresse, per quanto vivano condizioni completamente diverse, costituiscono una sorta di comunità dove gli individui nulla hanno a che vedere gli uni con gli altri, se non il fatto di attendere. Vol Spécial potrebbe dunque essere visto come un secondo capitolo del film antecedente, una chiosa un po’ triste e disillusa a quanto mostrato in precedenza.
Il film documentario ha ricevuto tanti riconoscimenti, ed altrettante critiche, che in quest’occasione, a dimostrazione di una reale tentata imparzialità, son state le più disparate, e mosse da tutte le parti: da chi l’ha definito un film fascista, complice delle istituzioni, a chi al contrario, ha trovato fosse un insulto all’amministrazione, oltre che veicolo di concetti inesatti.
In particolar modo Paulo Branco (produttore cinematografico ed attore) ha ritenuto osceno il fatto che Vol spécial fosse costruito attorno ad un anziano nigeriano pur avendo la consapevolezza ch’egli sarebbe morto durante il rimpatrio… probabilmente riferendosi ad un altro film, poiché, benché la tragedia d’un nigeriano morto durante il rimpatrio sia vera – e raccontata durante il film – il documentario non gira attorno a questa persona, che nemmeno è “ospite” del centro di Frambois in cui son state effettuate le riprese. Un’altra critica, più fondata, è che viene omesso il passato criminale di uno dei protagonisti, sebbene fosse noto al cineasta, cosa che motiverebbe i modi cruenti utilizzati dalle autorità.
Insomma, è un documentario che nel suo piccolo ha mosso un polverone, e che, per chi ha lo stomaco forte, vale la pena guardare, anche perché è diffuso integralmente dallo stesso autore (in lingua originale con sottotitoli in inglese).