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lunedì, 19 Maggio,2025
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Nel mare ci sono i coccodrilli: la storia di Enaiatollah Akbari

Fabio Geda (1972, Torino) è uno di quegli scrittori dotati di grande empatia e sensibilità, in grado di raccontare le storie altrui come fossero sue. Uno scrittore della gente, uno di quelli a cui piace dar voce a chi ne ha una troppo flebile per poter gridare da solo. E  forse non raggiungerà un livello letterario altissimo, (insomma, non si tratta di Umberto Eco), e magari ad alcuni parrà ripetitivo, nell’affrontare (quasi) sempre tematiche sociali… eppure, la forza del suo racconto sta proprio nella schiettezza e nella semplicità del linguaggio. Il linguaggio è infatti tanto semplice che questa storia potrebbe essere letta anche ad ( o, da) un bambino. D’altronde, il protagonista di questa storia è poco più che un bambino.

Nel mare ci sono i coccodrilli” è la storia di Enaiatollah Akbari (un ragazzo afghano),  e il suo tartagliato percorso per raggiungere l’Europa, il quale lo vede approdare dapprima in Pakistan, poi in Iran, di nuovo in Pakistan per poi raggiungere la Turchia, la Grecia ed, infine, l’Italia.  È  il racconto delle sensazioni, delle paure e delle emozioni provate.. delle persone (buone o cattive) incontrare per strada, i vari lavori compiuti, e i tragitti (per cui va sempre pagato qualcuno) effettuati. Il romanzo è scritto in prima persona, dunque, la voce narrante è proprio quella del ragazzo.

Ha ormai ventuno anni, Enaiatollah, quando racconta la sua storia allo scrittore, la quale ha inizio, all’incirca, dieci anni prima.

L’Afghanistan è ormai, in gran parte, sotto dittatura talebana, e fra Hazara*, etnia a cui appartiene la famiglia Akbari, (perseguitati fin dall’inizio del ‘900, e che subirono una vera pulizia etnica da parte dei talebani nel 2001), e Pashtun,  prosegue quell’eterna lotta, che non par voler accennare a finire, fra sunniti e sciiti.

Il padre di Enaiat, autista di camion, muore in un incidente stradale in cui, disgraziatamente, perde anche il carico appartenente ai talebani, i quali cominciano a perseguitarne il resto della famiglia.  Non v’é altra scelta, dunque, per la madre di Enaiat, (consapevole di quale sarebbe il destino di suo figlio se rimanesse accanto a lei), se non lasciare che il ragazzo tenti di costruirsi un futuro da solo, lontano da lei, lontano da casa… quella casa che ormai, non è più sicura. Enaiatollah e sua madre si dicono addio a Quetta (villaggio pakistano vicino al confine con l’Afghanistan). Lei, nonostante lo strazio del momento, si raccomanda affinché lui le prometta di non drogarsi mai, non rubare e non utilizzare armi. È così che Enaiat, di soli 11 anni (o forse 10, o forse 9. Non si può sapere perché nel suo paese non ci si registra alla nascita. O meglio, non esiste l’anagrafe), parte per la sua avventura fra Pakistan e Iran… in cerca di lavoro, o soltanto di un posto dove stare.

Il primo lavoro che Enaiat trova, in Pakistan, è quello di ambulante al mercato. Si lavora tanto, tantissimo, e si guadagna poco…. ecco perché quando Sufi (un altro ragazzo, sempre hazara, collega di Enaiat) gli propone di partire per l’Iran, Enaiatollah, finisce per accettare. Il viaggio, in un furgone, tutti ammassati, mette subito a dura prova il giovane protagonista di questa storia, che vien quasi buttato giù dal veicolo ( e prontamente salvato da un altro uomo, che si prenderà cura di lui anche una volta arrivati in Iran dove Enaiat si ammala gravemente).

Il primi stipendi iraniani ( dati da un lavoro in cantiere), Sufi ed Enaiat, son costretti a darli ai trafficanti che han permesso loro d’attraversare il confine. Benché il lavoro sia durissimo i due, nel cantiere, si trovano piuttosto bene, soprattutto grazie ai compagni di lavoro con i quali stringono amicizia. Sufi deve presto trasferirsi per via d’un nuovo lavoro in una cava, e  a cambiare nuovamente il destino del nostro piccolo eroe, è questa volta la polizia. Un intervento sul cantiere di Enaiat (il quale è lì clandestinamente) lo costringe a rimpatriare. Egli riesce a raggiungere nuovamente l’Iran, dove, dopo numerosi soprusi da parte della polizia, decide di cambiar paese, o almeno provarci, ed andare in Turchia.

Questa volta, il confine va attraversato a piedi. Il viaggio è lungo, molto lungo (quasi un mese), fa freddo e ci si muove solo di notte, perché di giorno si rischia d’essere avvistati. Non tutti ce la fanno e, infatti, sono molti a morire durante il viaggio. Passato il confine i trafficanti stipano i clandestini in una sorta di doppio fondo di un camioncino, diretto ad Istanbul. Un viaggio sfiancante (i clandestini, così stretti gli uni vicini agli altri, non possono muoversi) che durerà tre giorni. In Turchia, grazie all’amicizia con dei ragazzi conosciuti lì,  Enaiatollah matura la decisione d’attraversare il mare in gommone, destinazione: la Grecia. (È da qui che nasce il titolo del libro: “Nel mare ci sono i coccodrilli”, poiché nessuno dei ragazzi ha mai visto il mare e lo temono, uno di loro in particolare, ha paura dei coccodrilli, ndr). Anche questo viaggio si rivela duro e drammatico, e uno dei nuovi amici di Enaiat muore durante il tragitto.

Una volta in Grecia, grazie all’aiuto di una signora, il ragazzo riesce arriva ad Atene, dove stanno per svolgersi le olimpiadi, e non v’è difficoltà a trovare lavoro come manovale nel villaggio olimpico. Quando l’evento sportivo comincia le cose per Enaiat cominciano ad andar peggio, e decide dunque di  raggiungere Corinto e nascondersi su di un traghetto a destinazione ignota. È così che arriva Venezia, ed in seguito, dopo varie peripezie, a Torino. Proprio lì un amico afghano con il quale era riuscito a mettersi in contatto, gli presenta un’assistente sociale che diventerà, a tutti gli effetti, la sua seconda madre.

La storia difficilmente non commuove, e, come sempre quando si tratta di storie reali, l’happy- ending  non è stucchevole, bensì confortante. Il momento in cui Enaiat, finalmente al sicuro in Italia, attorniato da persone che l’hanno davvero preso a  cuore, riesce a telefonare a sua madre, e, entrambi, sopraffatti dalle emozioni, non riescono a proferire parola, è, secondo me, il momento più toccante del libro… la chiave in cui andrebbe letto, e in cui andrebbero ascoltate storie simili a questa.

Sarà forse superfluo ripetere che Enaiatollah Akbari ha, per l’appunto, una storia simile a quella di tanti, tantissimi, altri. Purtroppo non lo è il finale, che la maggior parte delle volte è meno poetico e romantico di questo… e, all’arrivo, una nuova famiglia non la si trova. Certo, quando si arriva (e se non si deve poi tornare indietro). C’è anche chi, a destinazione, qualsiasi essa sia, non ci arriva mai. Chi dai soprusi della polizia locale non ne esce vivo, chi viene rapito (e torturato) in attesa che la famiglia trovi abbastanza soldi per pagare il suo riscatto, sempre che li trovi.

È soprattutto, per tutti questi “altri” che Enaiatollah racconta la sua storia, e vuole che Fabio Geda la racconti a noi.. per tutti quegli “altri” che, in quel mare, i coccodrilli li hanno trovati davvero.


*Hazara: Gli Hazāra costituiscono un gruppo etnico che vive prevalentemente in una regione montuosa dell’Afghanistan centrale, nota come Hazarajat o Hazaristan. Nei secoli scorsi costituivano la maggiore etnia dell’Afghanistan, ma a causa delle continue persecuzioni oggi rappresentano circa il 19-25% della popolazione afghana  (tale stima è comunque approssimativa, dato che da decenni nel paese non si hanno censimenti accurati). Alcuni hazara, infine, vivono in Pakistan e Iran. [Wikipedia]

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