Sanità e razzismo: quando le disuguaglianze diventano una questione di salute
Quando pensiamo al razzismo, spesso ci immaginiamo insulti per strada, discriminazioni sul lavoro o violenza della polizia. Più raramente lo associamo a una sala d’attesa, un ambulatorio medico, o una corsia d’ospedale. Eppure, proprio lì, tra camici bianchi e termometri, si gioca una delle sfide più invisibili ma determinanti del nostro tempo: quella del razzismo nella sanità.
Sanità e razzismo sono due parole che, combinate, generano disagio. Perché è difficile accettare che un sistema pensato per curare possa invece escludere, trascurare, discriminare. Eppure accade. Ogni giorno.
I numeri nascosti
Le disuguaglianze nell’accesso alle cure non sono semplici impressioni. Sono dati. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’appartenenza etnica è un determinante sociale di salute. Le persone appartenenti a minoranze razziali e culturali vivono in media meno, si ammalano di più e ricevono cure peggiori.
In Italia, nonostante la retorica dell’universalismo sanitario, chi è straniero, nero, rom o semplicemente “non conforme” incontra ostacoli strutturali. Barriere linguistiche, culturali, legali e – soprattutto – pregiudizi.
La discriminazione in corsia: testimonianze reali
“Il medico non mi guardava in faccia. Parlava con l’infermiera come se io non capissi.”
– Ahmed, 34 anni, cittadino italiano di origine tunisina
“Mi hanno fatto aspettare ore. A quelli arrivati dopo di me hanno dato precedenza. Erano italiani.”
– Fatou, donna senegalese incinta
Queste non sono eccezioni. Sono la norma, anche se nessuno le denuncia. Perché il razzismo medico è spesso silenzioso, sottile, ma sistemico.
Nel nostro articolo 👉 Razzismo nei pronto soccorso: storie invisibili tra triage e silenzio abbiamo raccontato episodi concreti in cui il triage e la percezione del dolore erano influenzati dalla pelle.
Il mito della neutralità medica
Molti operatori sanitari si offendono quando si parla di razzismo nella sanità. Perché c’è un mito che va abbattuto: quello della neutralità del camice. In realtà, la medicina non è neutrale. È costruita su dati, studi e prassi spesso tarati su un paziente “standard”: maschio, bianco, cisgender, di classe media.
Il risultato? Errori diagnostici, sottovalutazione dei sintomi, differenze nell’approccio terapeutico. Numerosi studi anglosassoni mostrano che i medici tendono a sottovalutare il dolore delle persone nere, ritenendole “più resistenti”. Una credenza assurda, ma ancora radicata.
Sanità e migranti: la burocrazia che esclude
Molte persone migranti, soprattutto irregolari o in attesa di documenti, faticano ad accedere ai servizi di base. In teoria, la legge italiana garantisce cure urgenti a tutti. In pratica, l’accesso agli ambulatori STP (stranieri temporaneamente presenti) è complicato, umiliante e a volte ostacolato dagli stessi operatori.
In alcune regioni, i mediatori culturali sono pochi o inesistenti. E senza qualcuno che ti aiuti a spiegare i tuoi sintomi, rischi di non essere capito – e quindi curato male.
Donne nere, doppia discriminazione
Il razzismo nella sanità colpisce in modo particolare le donne nere, che subiscono una discriminazione intersezionale: di genere e di razza. Spesso, durante il parto, non vengono ascoltate, i loro dolori non vengono creduti, le loro richieste ignorate.
Come raccontato anche nell’articolo 👉 Disabilità e razzismo: la doppia esclusione delle persone nere con disabilità, l’intreccio di razzismo e altre condizioni (genere, povertà, disabilità) può generare una spirale di esclusione e disumanizzazione.
E se a discriminare è l’inconscio?
Molti professionisti non si riconoscono come razzisti. Ma questo non significa che non lo siano nei comportamenti. I pregiudizi inconsci influenzano le decisioni, anche in ambito sanitario.
Come spiegato qui 👉 Pregiudizi inconsci: come influenzano il nostro comportamento, la nostra mente associa automaticamente certe caratteristiche a certe persone. Se pensiamo che “i rom mentono”, tenderemo a non credere al loro dolore. Se pensiamo che “gli africani sopportano di più”, saremo meno inclini a somministrare antidolorifici.
Il razzismo istituzionale: strutture che escludono
Il problema non sono solo i comportamenti individuali. Il razzismo nella sanità è strutturale. Non ci sono abbastanza medici formati sulla multiculturalità. I percorsi per le persone transgender sono pieni di ostacoli. Le persone straniere hanno meno accesso alla prevenzione, agli screening, ai vaccini.
Molti ospedali pubblici non hanno linee guida sull’approccio culturale alle cure. Le cartelle cliniche spesso non prevedono la registrazione di dati etnici o culturali, quindi non esistono statistiche affidabili. E ciò che non si misura, non esiste – e quindi non si corregge.
I medici che resistono: buone pratiche da conoscere
Non tutto è negativo. Esistono reti sanitarie solidali che si battono contro la discriminazione.
- A Roma, il CISOM (Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta) offre cure gratuite a migranti e senza tetto.
- A Milano, la Rete Milano senza Frontiere lavora per l’accesso alle cure universali.
- A Palermo, l’ambulatorio di Emergency è un presidio reale di antirazzismo sanitario.
Sono esperienze importanti, ma non possono sostituire un sistema pubblico giusto e inclusivo.
Le conseguenze del razzismo sanitario
Il razzismo nella sanità non è solo un problema etico. Ha conseguenze concrete:
- Diagnosi tardive
- Malattie non curate
- Morti evitabili
- Sfiduccia nel sistema sanitario
E, soprattutto, alimenta la disuguaglianza sociale, rendendo i poveri sempre più malati e i discriminati sempre più soli.
Cosa fare: dalla denuncia alla trasformazione
- Formazione obbligatoria per il personale sanitario sui temi della diversità culturale, dei pregiudizi inconsci, dell’antirazzismo.
- Presenza costante di mediatori culturali, anche nei piccoli ambulatori.
- Raccolta dati etnici, nel rispetto della privacy, per mappare e contrastare le disuguaglianze.
- Campagne informative per le comunità migranti, in più lingue e canali.
- Ascolto reale: creare sportelli di segnalazione per chi subisce discriminazioni nel percorso sanitario.
Conclusione: la cura è un diritto, non un privilegio
La salute è un diritto universale. Ma perché lo sia davvero, serve che la sanità riconosca i suoi limiti, i suoi errori, le sue discriminazioni. Non si può guarire un corpo, se si rifiuta di vedere la persona che lo abita.
Combattere il razzismo in sanità significa creare una società più giusta, dove ogni vita ha lo stesso valore. Anche tra le corsie di un ospedale.