Donne che amano troppo, nonostante il titolo fuorviante possa lasciar pensare ad un Armony (e dei più scarsi), è in realtà un libro scritto sotto forma di self help book (cioè, letteralmente, una guida d’aiuto a se stessi), sulla dipendenza affettiva e le sue implicazioni.
Robin Norwood, l’autrice, cerca di stilare una sorta di guida alla “sopravvivenza da relazione manipolatoria” tramite le esperienze delle sue stesse pazienti, e le conseguenti analisi effettuate da lei stessa.
Il libro fu pubblicato nell’1985, ed ottenne subito un grande riscontro negli USA. Mentre in Italia, edito da Feltrinelli, ebbe una grande rilevanza soprattutto negli anni 2000. In seguito venne pubblicato: “Lettere di donne che amano troppo”, che come facilmente intuibile, contiene i rapporti epistolari intrattenuti con le medesime pazienti.
La Norwood infatti, oltre ad essere specializzata nel campo delle codipendenze*, e ad avere una grande esperienza come terapista di coppia, ha lavorato nel settore della dipendenza affettiva per più di quindici anni.
Attraverso la trasposizione delle reali sedute avvenute, la scrittrice cerca di ricreare i vari step che hanno portato queste donne alla dipendenza dal proprio partner, la quale, troppo spesso, si traduce in un rapporto vittima-carnefice. In questi casi, la vittima, non solo non ha il coraggio di lasciare il compagno (nonostante esso la sottoponga a continue angherie), ma si sente causa dei comportamenti malsani del proprio aguzzino… dunque meritevole di riceverne i rimproveri (anche quando questi consistono in violenze fisiche d’intensità notevole).
Ai racconti delle donne che amano troppo, vengono contrapposte impressioni ed analisi dell’autrice che, a fine capitolo, tenta di tracciare delle linee guida generali per aiutare altre persone a riconoscersi nei comportamenti stereotipati di chi, a sua insaputa, sta trascinando una situazione simile. Sebbene il libro sia dedicato in particolar modo alle donne (che secondo la Norwood soffrono più spesso di queste patologie rispetto agli uomini), l’eventualità che accada d’affezionarsi ad una persona violenta, non vien certo presentata come esclusiva femminile. Robin Norwood si rivolge a chiunque si senta, in un qualche modo, simile alle persone di cui ci racconta.
Secondo l’autrice, tutto, è riconducibile all’infanzia e al rapporto con i propri genitori. Nelle relazioni si tende a ricoprire lo stesso ruolo già avuto da bambini all’interno del proprio nucleo famigliare, motivo per cui, chi ha avuto un passato difficile, riconoscerebbe più tardi campanelli d’allarme evidenti rispetto a chi ha avuto un’infanzia serena.
Le casistiche analizzate presentano infatti, tutte, un background comune: le protagoniste hanno una scarsa autostima dovuta a problemi pregressi ( genitori violenti, assenti, depressi, con problemi di droga e alcolismo)… per cui l’incontro con il manipolatore, di primo acchito, appare loro come una salvezza. E persino quando comincia ad essere evidente che non lo sia, esse tendono ad addossarsene la colpa. Di frequente, nel ventaglio di esempi proposti, l’incontro fra la paziente e l’uomo coincide con un precedente distacco della stessa dai propri genitori (avvenimento che la pone in una condizione di percepita inutilità). Emerge, dalle loro parole, il sentimento comune secondo cui grazie alla forza del proprio amore, adempiendo al meglio ai propri compiti, sarebbero riuscite a guarire l’altra persona, a normalizzarla.
Un limite di questo libro è sicuramente questo: non presenta alcuna variante dallo schema principale, che sicuramente è veritiero ma non assoluto. E poiché i casi presentati non sono assolutamente sufficienti per poter assumere che, per forza, chi soffre di una codipendenza abbia avuto un’infanzia difficile, viene a mancare una contro tesi, o semplicemente un’eccezione. Persino i consigli dell’autrice sono un po’ stereotipati ed uguali per tutti. E per quanto in libri di questo tipo la tendenza a generalizzare sia necessaria, in questo caso risulta un po’ troppo marcata e ridondante.
Ad ogni modo è un “saggio popolare” utile, sia per chi in una relazione così ci si ritrova, sia per chi non è mai riuscito a capire come fosse possibile arrivare a sopportare l’intollerabile. Le dinamiche che portano ad esserci dentro senza nemmeno rendersene conto, sono chiarissime. E se sicuramente non basta da solo a ritrovare la propria personalità annullata, a guarire i lividi né ad avere il coraggio di rifarsi una vita; a sentirsi meno sole, meno sbagliate, a sentire d’avere il diritto di desiderare qualcosa di meglio… a quello, sicuramente può servire eccome.
*Si definisce codipendenza una condizione psicologica o una relazione in cui una persona è controllata o manipolata da un’altra che sia affetta da una condizione patologica (solitamente narcisismo o dipendenza da sostanze); e in termini più ampi, si riferisce alla dipendenza dai bisogni o dal controllo di un altro.[1] Spesso comporta anche l’attribuire ai propri bisogni una priorità minore, mentre si è eccessivamente preoccupati per i bisogni degli altri.[2] La codipendenza può presentarsi in ogni tipo di relazione: familiare, amicale, romantica, tra colleghi di studio o di lavoro e comunitaria.[2] La codipendenza può anche essere caratterizzata da negazione, bassa autostima, eccessiva sottomissione, o meccanismi di controllo. I narcisisti sono considerati calamite naturali per i codipendenti. [Wikipedia].