E’ il primo Paese al mondo a varare la legge sulla parità di salario.
Con l’inizio dell’anno scattano i controlli e le imprese con più di 25 dipendenti rischiano sanzioni pecuniarie se non dimostreranno che le retribuzioni sono esenti da disparità dovute al genere. Con questo provvedimento l’isola dei ghiacci e dei vulcani (102 chilometri quadrati in pieno Atlantico del nord abitati da 332mila persone) si conferma all’avanguardia nella lotta alle discriminazioni, dato che negli ultimi nove anni è sempre stata prima nella classifica mondiale della parità di genere stilata dal World economic forum.
Il report analizza il divario di genere attraverso quattro parametri: partecipazione alla crescita economica, risultati accademici, salute e aspettativa di vita e partecipazione alla politica. Una classifica che, per intenderci, vede gli Stati Uniti al 49esimo posto, davanti al Kazakistan ma dietro l’Uganda. Per non parlare dell’Italia, dove il divario tra uomini e donne ha fatto piombare il Paese all’82esimo posto in classifica (su 144 posizioni complessive), con un crollo di ben 22 posizioni nell’arco di un solo anno.
E proprio per questo la legge appena entrata in vigore, arriva paradossalmente dove ce n’è meno bisogno. In Islanda la differenza media fra le retribuzioni degli uomini e quelle delle donne è del 14/20%, percentuale molto inferiore rispetto a quella che si riscontra in tutti gli altri Paesi europei. Inoltre in Islanda l’80% delle donne lavora, mezzo Consiglio dei ministri appartiene a quello che una volta veniva definito il sesso debole e la legislazione in tema di violenza di genere, quote rosa e maternità è da tempo molto avanzata. E nel 1980 l’Islanda fu il primo Paese al mondo ad avere una donna, Vigdis Finnbogadottir, alla presidenza della Repubblica.
Eppure per convincere il parlamento di Reykjavik a imporre la fine della discriminazione retributiva di genere c’era voluta, nell’ottobre del 2016, una grande manifestazione pubblica nella quale migliaia di donne (ma anche uomini) in sciopero chiesero al potere legislativo di intervenire. Cosa che fece, come detto, nel marzo successivo.
«La storia dimostra che a volte se vuoi il progresso sei costretto a imporlo dall’alto contro chi vi si oppone», aveva commentato dopo l’approvazione della legge il ministro per gli Affari sociali e l’uguaglianza, Thorstein Viglundsson.