Una realtà italiana troppo spesso ignorata
Le donne migranti in Italia affrontano ogni giorno una doppia discriminazione, tra razzismo e sessismo, che le rende invisibili nel dibattito pubblico.
Impegnate in lavori precari, spesso senza tutele, e poco rappresentate nei media, vivono una realtà che resta ai margini delle politiche per la parità di genere.
Nel 2025, includerle in questa lotta non è un’opzione: è un dovere.
Razzismo e sessismo: le due facce dell’esclusione
Lavoro sfruttato e invisibile
Secondo i dati ISTAT e Caritas, il 70% delle donne migranti in Italia lavora nel settore domestico e di cura, spesso senza contratto regolare. In molti casi, sono costrette ad accettare condizioni di lavoro degradanti, orari infiniti e salari sotto la soglia minima.
La loro origine etnica incide anche sulla percezione sociale: una donna bianca straniera viene trattata diversamente da una donna nera o asiatica, anche a parità di condizioni.
Accesso ai servizi e diritti negati
Molte donne straniere incontrano barriere linguistiche, culturali e istituzionali nell’accesso a servizi sanitari, legali e sociali. Le vittime di violenza, ad esempio, spesso non denunciano per paura di perdere il permesso di soggiorno o per mancanza di informazioni.
Media, stereotipi e rappresentazione distorta
I media italiani contribuiscono alla marginalizzazione con narrazioni riduttive: le donne migranti sono spesso descritte come vittime passive o come “badanti”, raramente come soggetti attivi con una voce propria.
Questa rappresentazione alimenta una cultura di pregiudizio e impedisce un reale processo di integrazione e valorizzazione.
Esperienze reali, volti invisibili
Mary, 34 anni, arriva dalla Nigeria. Lavora da sette anni in Italia come collaboratrice domestica. “Ho subito molestie dal mio datore di lavoro ma non sapevo a chi rivolgermi. Avevo paura di perdere tutto.” La sua storia è una delle tante, eppure raramente ascoltate o riportate.
Includere tutte le donne nella lotta per la parità
Il femminismo intersezionale è oggi più che mai necessario: riconoscere che non tutte le donne partono dallo stesso punto è fondamentale per costruire una società giusta.
Associazioni come Nosotras Onlus, Differenza Donna o il Centro Penc lavorano ogni giorno per offrire supporto, formazione e accoglienza a queste donne dimenticate.
Il ruolo delle istituzioni: cosa (non) si sta facendo
Nonostante i numerosi appelli della società civile, le politiche pubbliche italiane spesso non tengono conto delle specificità che vivono le donne migranti. Le leggi sull’immigrazione raramente sono pensate con un’ottica di genere, e le misure contro la discriminazione razziale non si integrano con quelle contro la violenza di genere.
Nel 2024, il Piano Nazionale per l’Uguaglianza di Genere non includeva sezioni dedicate alle donne straniere o migranti. Questa mancanza di prospettiva intersezionale contribuisce a perpetuare esclusioni sistemiche, rendendo invisibili i bisogni reali di milioni di donne.
Quando l’attivismo è donna, migrante e determinata
Nonostante le difficoltà, molte donne migranti stanno cambiando la narrazione. Iniziative come “Black Lives Matter Roma”, “Il Razzismo è una Brutta Storia”, o la rete “Le Nere Italiane” danno spazio a voci spesso ignorate. Sono donne che si organizzano, parlano, scrivono, denunciano e costruiscono alleanze con altri movimenti femministi.
Un esempio è Ruth Dureghello, che attraverso laboratori nelle scuole porta i ragazzi a riflettere su razzismo e parità. O Karima Moual, giornalista e attivista, che ha denunciato la marginalizzazione delle donne musulmane nei media italiani.
Queste esperienze dimostrano che la soggettività delle donne migranti non è solo vittima, ma anche agente di cambiamento sociale.
Educazione e cultura: due strumenti chiave per il cambiamento
Contrastare razzismo e sessismo insieme richiede un cambiamento culturale profondo, e tutto parte dalla scuola. I programmi scolastici, però, parlano poco di colonialismo, migrazioni, razzismo sistemico e quasi mai in chiave di genere. Serve una educazione interculturale e femminista, capace di far emergere tutte le esperienze.
Anche i media, le università, i corsi di formazione e le aziende possono fare la loro parte, promuovendo rappresentazioni più inclusive, politiche di equità, e linguaggi rispettosi.
Cosa possiamo fare concretamente: 5 azioni possibili
- Ascoltare le donne migranti, leggere le loro storie, seguirle sui social, sostenere i loro progetti.
- Chiedere alle istituzioni di includere la prospettiva intersezionale nelle politiche su genere e migrazione.
- Promuovere corsi di formazione interculturali nelle scuole e nei posti di lavoro.
- Sostenere le associazioni locali che lavorano sul campo, con donazioni o volontariato.
- Condividere informazioni verificate, contrastando la disinformazione e i discorsi d’odio.
Una lotta comune, ma non uguale per tutte
Essere donna non significa vivere le stesse battaglie. Una donna migrante nera in Italia affronta sfide diverse da una donna italiana bianca, così come una donna musulmana vive una marginalizzazione diversa da una donna atea o cristiana.
Il femminismo che esclude è un femminismo incompleto. Serve un’alleanza tra tutte le donne, che riconosca i privilegi differenziali e costruisca un fronte comune contro ogni forma di discriminazione.
Conclusione: da invisibili a protagoniste
Se vogliamo davvero costruire una società più giusta, dobbiamo partire dalle voci dimenticate. Le donne migranti in Italia non sono solo numeri nelle statistiche, ma individui con storie, desideri, diritti.
Il cambiamento comincia quando smettiamo di parlare per loro e iniziamo ad ascoltarle, riconoscerle e camminare con loro. La parità di genere, senza antirazzismo, è solo un’illusione.