Si tratta di un documentario davvero sconvolgente quello sui campi di tortura nel Sinai, intitolato: Voyage en Barbarie (tradotto in inglese come: Under The Skin) e realizzato da Cécile Allegra e Delphine Deloget.
L’argomento è, purtroppo, ancora una volta, la tratta di essere umani. Nello specifico: i rapimenti degli eritrei attuati a Karthoum (zona di valico fra l’Eritrea e, praticamente, il resto del mondo). I rapiti vengono incatenati gli uni agli altri ed in seguito rivenduti.
I beduini li portano poi nel Sinai (cioè alla frontiera fra Israele ed Egitto), dove vengono imprigionati, (spogliati, marchiati a fuoco, e quotidianamente torturati), fino a che le loro famiglie (ancora in Eritrea) non trovano abbastanza soldi per pagarne il riscatto.
L’obiettivo di predoni e carcerieri è tristemente semplice: il denaro. Lo scopo è ottenere soldi tramite i riscatti.
La disumanità con cui vengono trattati i prigionieri, il sadismo con cui vengono chiesti i soldi ai loro parenti, è scioccante. Una delle pratiche più comuni, al fine di sollecitare il pagamento, è la tortura in diretta telefonica: gli aguzzini seviziano i prigionieri, e la famiglia, dall’altro capo del telefono, ascolta le urla dei propri cari.
Chi non può pagare la cifra stabilita, è certo che non vedrà mai più il proprio famigliare (ed accade spesso, si contano, dal 2009 in poi, più di 10000 eritrei scomparsi nel Sinai) . Uno degli unici modi per salvarsi da quest’agonia è parlare arabo, e venir dunque usati come traduttori. In poche parole, compiere le telefonate di cui sopra.
I campi di tortura del Sinai, purtroppo, non sono un’eccezione: tale modalità si sta espandendo in tutto il corno d’Africa, soprattutto in Libia.
Non è un argomento di cui si è discusso molto, non alle nostre latitudini. Questo film (vincitore di premi e riconoscimenti in diversi festival, tra cui il premio come miglior documentario al New York City International Film Festival o il Prix Albert Londres 2015), è stato un veicolo importante affinché, finalmente, se ne cominciasse a parlare.
Eppure ciò che avviene nel Sinai è un vero orrore, un fatto che non può continuare ad essere ignorato. Non vi sono molte altre parole per definire quella che è, seppur piuttosto sconosciuta, a tutti gli effetti, una tragedia umanitaria.
VOYAGE EN BARBARIE: i campi di tortura sono in espansione
Occorre fare una precisazione: non è un documentario edulcorato, vengono narrati fatti terribili, e mostrate fotografie (ed immagini) altrettanto forti. Le torture di cui sentiamo raccontare, da persone che le hanno vissute, sono seriamente indicibili, inumane, inimmaginabili. L’effetto traumatizzante avuto sui protagonisti è lampante, anche solo ascoltandoli e guardandoli parlare, seppur a distanza di tempo.
Sono dell’opinione che si debba sapere ciò che accade attorno a noi, anche quando fa male. E questo documentario, di male, ne fa parecchio. Sono convinta che sapere sia fondamentale, anche se dopo aver visto questo film si faticherà a prendere sonno per giorni. Credo che vada guardato comunque, perché questo è quello che sta succedendo nel mondo. A degli altri esseri umani.
Inoltre sostengo che scegliere di non sapere in nome di una presunta “sensibilità” sia un’ auto-giustificazione futile, e anche un po’ vigliacca. E spero che se dovesse capitarmi una disgrazia, e dovessi trovare la forza di raccontarla (perché a volte il potere della parola è davvero sorprendente, e condividere informazioni uno degli unici in mezzi di cui è armata la gente comune), ad ascoltarmi, dall’altro lato, non vi siano persone sedicenti: “troppo sensibili”.
Tutto questo per dire ciò che si potrebbe riassumere in una frase: la visione è raccomandata esclusivamente ad un pubblico adulto, può urtare la sensibilità di molti. Qui di seguito, il trailer del film.
Il film si svolge seguendo il racconto di tre persone, sopravvissute ai campi di tortura del Sinai: raccontano, un po’ a fatica, i loro giorni di prigionia.
Interessante l’intervista ad un beduino torturatore, anche un po’ deprimente, siccome quest’uomo parla di traffico d’essere umani come di un’attività commerciale necessaria, qualsiasi. Come se, davvero, considerasse le persone al pari della merce.
E dopo tanto dolore, una nota di speranza arriva dall’ultimissima intervista, quella al capo religioso dei beduini, il quale, con i mezzi e le possibilità che ha, cerca di correre in soccorso degli eritrei imprigionati.