È da qualche tempo che i giornalisti parlano del sì detto Blue Whale (un fenomeno nato in Russia che coinvolgerebbe i più giovani): una sorta di gioco a livelli con ultimo traguardo il suicidio.
L’adescamento degli adolescenti avverrebbe via Social Network tramite un invito a partecipare al Blue Whale (simbolicamente pare sia stata scelta la balena per la sua tendenza a spiaggiarsi in solitaria allora della morte). Il “gioco” consisterebbe poi nel superare delle missioni autolesioniste, quotidianamente, nell’arco di cinquanta giorni. Del superamento delle stesse, va fornita prova a quello che viene definito il “curatore”. Il cinquantesimo giorno il ragazzo, per diventare balena, dovrà buttarsi giù da un palazzo, filmando (o chiedendo a qualcuno di filmare per lui) la propria “caduta”.
Nonostante la notizia non fosse nuova (e una delle presunte menti dietro il gioco sia stata arrestata) la diffusione di questa in Italia è arrivata soprattutto grazie alla TV. Ossia un servizio delle Iene andato in onda domenica sera. In Russia la notizia era circolata già nel corso del 2015/2016.
ALLARMISMO E FAKE NEWS? IL BLUE WHALE
Le iene sono una trasmissione di giornalismo d’assalto d’inchiesta atto all’intrattenimento, motivo per cui i loro servizi, molto spesso, tendono al sensazionalismo e alla sommarietà. Niente di sorprendente, dunque, nel constatare l’uso di toni eccessivamente allarmisti da parte della trasmissione targata Mediaset.
Sono molteplici le fonti che ridimensionano la notizia affermando che il fenomeno sia stato assai gonfiato (soprattutto per quanto riguarda i numero di adolescenti coinvolti). Riuscire a infiltrarsi nel Blue Whale pare particolarmente difficile se non impossibile: chi ha tentato di farne parte per verificare le proprie informazioni, comunque, non vi è riuscito.
Non è nemmeno chiaro dove si svolga questo gioco. Da alcune fonti pare che, dopo l’adescamento via social, venga inviata un‘app al ragazzo; da altre s’intuisce che essi ricevessero ordini via VK (il Facebook russo); altri ancora parlano di deep web. Ciò lascia intendere che, probabilmente, fra tutti coloro che ne han fatto notizia, il vero gioco l’abbiano visto in pochi. [fonte]
Inoltre il The Bulgarian Safer Internet Centre afferma d’aver investigato e ridurebbe il fenomeno internazionale ad una comunità virtuale Blue Whale popolata di adolescenti un po’ ossessionati dalla morte e intenti a partecipare ad un gioco suicida (seguito da dei curatori) della durata di cinquanta giorni… spaventoso ma certo non una moda virale. La notizia dunque, così come riportata dai media, sarebbe a tutti gli effetti da considerarsi una fake news. [fonte]
In poche parole sarebbe come guardare due ragazzini intenti a dar fuoco ad un lumacone ed asserire che vi sia il concreto pericolo che gli adolesenti, tutti quanti, in tutto il mondo, diventino dei Serial Killer.
Il che ha portato alla concezione di dietrologie diverse (la più quotata, e credibile, è che sia un modo per giustificare l’alto tasso di suicidi giovanili in Russia), e alla conseguente creazione di varie app e siti attira-curiosi con fini di lucro e pubblicitari.
Scevrato e ridimensionato l’argomento da tutti i filtri che una trasmissione in onda in prima serata, specie su Mediaset, deve avere per piacere alle masse (ho faticato sin dal primo istante a credere che tutti i suicidi giovanili avvenuti in Russia, nell’arco dell’anno, fossero da ricondurre al Blue Whale), quello che mi sono domandata è quanto fosse utile dare risalto a questo o altri fenomeni simili?
Perché ormai se ne sta parlando, e, quando una notizia inizia a circolare troppo ed essere riportata da più fonti, col tempo, essa diventa vera. Ormai sono state diffuse immagini, video, regolamenti… insomma, il Blue Whale è sulla bocca di tutti. Ottimo per le Iene che han fatto lo sggoop ma tutti gli altri?
SUICIDIO PER IMITAZIONE E BLUE WHALE: occorre ridimensionare i toni?
Il suicidio per imitazione (o Effetto Werther) è provato esista e, negli anni, vi sono stati diversi studi che l’hanno dimostrato e teorizzato (da David Philipps a Durkheim per citare due fra i più importanti) e nella modernità, oltre alle finzioni letterarie, abbiamo avuto più di un esempio concreto (Kurt Cobain o Marylin Monroe).
I motivi sono diversi e uno fra tutti è il processo identificativo che avviene quando si ammira molto una persona (come nel caso delle star), o ci si sente particolarmente affini al personaggio (Werther) o ad un gruppo di adolescenti incompresi (il vero, o presunto, Blue Whale).
L’adolescenza è un’età in cui non ci si sente capiti perché è faticoso capire chi si è. È difficile fidarsi, cambiano i punti di riferimento (che smettono di essere i genitori o i professori) e si inizia a trovarne degli altri. Ognuno ha il suo percorso e non per forza s’incappa in modelli positivi.
Crogiolarsi nel proprio dolore, nella propria sensazione di sentirsi differenti (e un po’ tristi) è una caratteristica giovanile, soprattutto dei tempi moderni, grazie alla quale hanno attecchito mode differenti: dal fenomeno Emo ai ragazzi col mare dentro di Tumblr.
È raro poi, durante la pubertà, concepire la vita insieme alla sua fine, è una sensazione a cui ci si abitua da più grandi. Si sfida la sorte, si ha la sensazione di essere immortali e onnipotenti. Chi non ha fatto, da più piccolo, azioni, anche solo mediamente pericolose, che ora non oserebbe fare più?
Non che un adolescente non sia consapevole che buttandosi giù da un palazzo vada incontro alla morte, ma ha una percezione del valore della vita molto differente. L’idea che resti immortale il proprio nome, anche solo fra i membri di una piccola comunità virtuale, può essere una motivazione abbastanza valida per spingere qualcuno a compiere questo gesto.
Succede, in modo diverso, nascondendosi dietro cause più alte, anche in età adulta (un esempio sono i Kamikazee, ma si potrebbe dire la stessa cosa di circa qualsiasi militare in guerra).
Diffondere l’esistenza del Blue Whale in modo così dettagliato, è pericoloso perché ci s’arrischia di spingere persone già inclini a riprodurlo (o persone malate ad organizzarne uno simile). A far sì che comunità virtuali di adolescenti un po’ emarginati (su VK FB TW o qualsiasi altra sigla social) lo trovino “figo”.
Se non è concreto il rischio di essere contattati da un vero membro del Blue Whale, lo è quello dell’effetto Werther.
È allora dovere di un giornalista (o presunto tale) parlarne e diffondere le informazioni da lui conosciute (anche se risalgono a qualche anno addietro) o vi sono casi in cui ciò andrebbe fatto con più prudenza?