Sostenibilità e disuguaglianze sociali: un legame inscindibile
Introduzione Quando si parla di sostenibilità, il pensiero va subito all’ambiente, al cambiamento climatico, al riciclo. Ma la sostenibilità è anche (e soprattutto) giustizia sociale. Sostenibilità e disuguaglianze sociali sono due aspetti della stessa crisi globale: non si può salvare il pianeta senza proteggere le persone più vulnerabili.
Le fasce più povere della popolazione, i migranti, le minoranze etniche e le comunità marginalizzate pagano il prezzo più alto dell’inquinamento, dei cambiamenti climatici, dello sfruttamento delle risorse naturali. In questo articolo esploreremo come l’ingiustizia ambientale sia spesso anche ingiustizia razziale e sociale, e perché un futuro sostenibile deve essere anche un futuro equo.
Le vittime invisibili della crisi climatica
Gli eventi climatici estremi — come alluvioni, siccità e incendi — colpiscono in maniera sproporzionata chi ha meno mezzi per proteggersi. Case precarie, scarsi servizi sanitari, mancanza di infrastrutture rendono le comunità più povere le prime vittime della crisi ambientale.
Secondo un rapporto dell’ONU, oltre il 70% delle persone sfollate a causa del cambiamento climatico vive in Paesi a basso reddito. Ma anche in Europa e in Italia, sono spesso i quartieri periferici, abitati da migranti o famiglie a basso reddito, a essere più esposti a rischi ambientali: vicino a discariche, inceneritori, zone industriali inquinate.
Inquinamento e razzismo ambientale
Il concetto di “razzismo ambientale” nasce negli Stati Uniti, ma è applicabile ovunque. Si tratta della tendenza sistemica a localizzare impianti inquinanti, discariche o industrie tossiche vicino a comunità etnicamente o socialmente svantaggiate.
Non è un caso che in molte città italiane i quartieri con la più alta concentrazione di popolazioni migranti siano anche quelli con meno verde, più traffico, meno servizi. Respirare aria pulita, avere accesso all’acqua potabile e vivere in un ambiente salubre dovrebbero essere diritti universali, ma nella pratica non lo sono.
Accesso diseguale alle risorse naturali
La sostenibilità implica l’uso equo delle risorse. Eppure, le risorse naturali non sono distribuite in modo equo: chi consuma di più è chi inquina di meno, e chi inquina di più è spesso chi ha meno.
Nel Nord del mondo, si produce il 90% della plastica globale, mentre nel Sud del mondo si gestisce gran parte dei rifiuti. Grandi multinazionali occidentali sfruttano terre e acque nei Paesi del Sud globale, distruggendo habitat e comunità locali, spesso con la complicità dei governi locali e l’impunità legale.
Giustizia climatica: un approccio necessario
Affrontare la crisi climatica senza tenere conto delle disuguaglianze sociali è inefficace e ingiusto. Per questo sempre più attivisti parlano di giustizia climatica: un approccio che unisce l’azione ambientale alla lotta contro il razzismo, la povertà e le discriminazioni.
La giustizia climatica riconosce che non tutti partiamo dallo stesso punto: chi ha meno responsabilità nella crisi climatica ne subisce spesso le conseguenze peggiori. Un esempio concreto? I lavoratori agricoli sfruttati nelle campagne italiane: braccianti, spesso stranieri, costretti a lavorare in condizioni disumane sotto il sole cocente, in un clima sempre più torrido.
Le donne in prima linea (e in prima fila a subire)
Anche il genere influisce: le donne, soprattutto nei Paesi poveri, sono tra le più colpite dai cambiamenti climatici. Sono spesso le principali responsabili della raccolta dell’acqua e del cibo, attività rese sempre più difficili da siccità e desertificazione.
In Italia, molte donne migranti lavorano in settori altamente esposti, come l’agricoltura e la cura, con salari bassissimi e tutele minime. Parlare di sostenibilità senza considerare l’impatto su queste categorie è una forma di esclusione.
E l’Italia?
Nel nostro Paese, si inizia a parlare di sostenibilità sociale, ma spesso in modo superficiale. I piani urbani “verdi” escludono le periferie. Gli incentivi per il risparmio energetico sono accessibili solo a chi già possiede un’abitazione di proprietà.
Eppure, ci sono esperienze virtuose: orti urbani comunitari in zone marginalizzate, scuole che adottano pratiche ecologiche inclusive, progetti di riforestazione partecipata con cittadini migranti. Ma servono politiche strutturali, non solo iniziative locali.
Cosa possiamo fare (davvero)?
1. Riconoscere i privilegi
Capire che il proprio stile di vita impatta più di quello di chi vive in povertà è il primo passo. Non tutti possono “essere green” allo stesso modo.
2. Promuovere l’accesso equo alle soluzioni
Pannelli solari, mobilità sostenibile, cibo biologico: vanno resi accessibili anche ai più fragili, con incentivi mirati e inclusivi.
3. Ascoltare le comunità colpite
Le soluzioni migliori vengono spesso da chi vive il problema. È fondamentale dare voce a chi è marginalizzato nei dibattiti ambientali.
4. Collegare le lotte
Diritti umani, antirazzismo e sostenibilità devono camminare insieme. Non c’è giustizia ambientale senza giustizia sociale.
Conclusione: sostenibilità è inclusione
Sostenibilità e disuguaglianze sociali sono strettamente connesse. Ignorare questa realtà significa creare soluzioni parziali, esclusive, inefficaci. Per costruire un futuro giusto per tutti, dobbiamo ripensare il concetto stesso di sostenibilità: non solo salvare l’ambiente, ma garantire diritti, equità e dignità a ogni persona.
Una sostenibilità vera è quella che si prende cura anche delle differenze, dei margini, delle fragilità. Solo così il futuro sarà davvero per tutti.